Corriere della Sera, 9 novembre 2015
Il raduno di Bologna. Chissà se nel centro-destra è davvero successo qualcosa
Dice il proverbio: «Se non puoi batterli, unisciti a loro». E Berlusconi, che sotto sotto è un uomo saggio, così ha fatto. La sua partecipazione al «Salvini pride» di Bologna non è una resa alla supremazia leghista sul centrodestra, come protesta la fronda perbenista di Forza Italia, o quel genere di abbraccio con cui i pugili suonati si abbrancano al corpo dell’avversario per farsi meno male, come lascia intendere la macchina propagandistica del premier. È piuttosto un accomodamento, una presa d’atto della realtà, con la segreta speranza di poter ritrovare negli spiriti animali di quello che un tempo si chiamava il forza-leghismo le energie politiche consumatesi in vent’anni di prima linea. Al vecchio leader è scappato detto dal palco, quando ha azzardato che grazie a «Matteo e a Giorgia» poteva tornare competitivo anche lui, Salvini come l’elisir di lunga vita di Silvio; ed è stato solo allora che i giovani padani l’hanno fischiato.
Il leader leghista non sarebbe del resto il primo Matteo che Berlusconi tenta di usare come la piscina di Cocoon, per prolungare la sua carriera politica oltre i limiti della fisiologia. Però con l’altro Matteo è finita anzitempo: troppo furbo per i gusti del Cavaliere, e troppo avido dei suoi voti per esserne alleato. Con questo Matteo invece può durare di più, almeno fino alle elezioni. Perché la convenienza comune è chiara.
C’è infatti un altro contraente del patto di Bologna che ha fatto tesoro del proverbio di cui sopra e che non ha dovuto fare meno rinunce per poter salire accompagnato sul palco di piazza Maggiore: ed è Salvini. Con la manifestazione di ieri, riuscitissima anche grazie alla stupida violenza di chi ha provato a impedirla con la forza, il leader leghista ha innanzitutto rinunciato a ciò che fin qui è stato il marchio di fabbrica della sua leadership: lo splendido isolamento, il meglio soli che male accompagnati, quello spirito ferocemente minoritario che ti fa prendere tanti voti ma mai abbastanza per vincere. Il semplice fatto di aver invitato Berlusconi sul palco ha «moderato» la sua manifestazione, rendendola molto poco lepenista, meno eurofobica e xenofoba di quanto di solito la Lega ami mostrarsi. Del resto Salvini ne era perfettamente consapevole, è proprio per questo che ha bisogno di Berlusconi, mica solo per i voti, ma anche per la rispettabilità che presso un certo e non piccolo elettorato moderato il prestigiatore di Arcore continua a garantire. Per l’occasione Matteo ha perfino rinunciato alla felpa per una più renziana camicia bianca. Anche lui ha capito che Berlusconi sta al centrodestra italiano come Corinna a Ovidio: «Nec sine te nec tecum vivere possum».
Lo sdoganamento degli estremisti è del resto un giochetto che nei suoi anni migliori a Berlusconi era già riuscito, ripulire Bossi dalla canottiera e mettere il doppio petto a Fini. Certo i tempi sono cambiati. Stavolta Salvini ambisce a guidare, non a farsi traghettare. Forza Italia è diventata esangue e imbelle. Ci sono ancora tante cose importanti che dividono il centrodestra, dalla Merkel ai gay. Però c’è tempo per fare programmi, per ora non serviva altro che una testimonianza di esistenza in vita del cosiddetto «centrodestra» senza trattino, cioè di una possibile coalizione alternativa al Pd e competitiva alle elezioni. Qualcosa che era scomparsa dai radar della politica italiana dalle elezioni di due anni fa e che è riapparsa per la prima volta ieri a piazza Maggiore (coincidenza, più o meno dove era nato, col vaffa day, il grillismo).
Durerà? Chi lo sa. Del futuro del centrodestra si può dire tranquillamente ciò che ha detto Matteo Renzi parlando ai gruppi parlamentari del suo partito: «In quell’area nei prossimi anni succederà qualcosa, non va sottovalutata. Prima accadrà e meglio è per la tenuta del sistema democratico». Forse qualcosa, nel week end, è già successa.
Il Fatto del Giorno è dedicato al raduno di Bologna