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 2015  novembre 08 Domenica calendario

Parla Abatantuono. «I miei figli non sono “belli di papà”»

Il termine non gli piace, ma una cosa è certa, i suoi figli non sono bamboccioni, ovvero non somigliano per niente ai protagonisti della commedia di Guido Chiesa Belli di papà, gran successo al botteghino, anche perché al centro di tutto c’è lui, Diego Abatantuono, milanese, 60 anni, beniamino del pubblico dai tempi in cui era il «terrunciello» di Eccezziunale veramente: «Le parole come questa, che non hanno il contrario, mi mettono paura – spiega – e comunque i primi, veri bamboccioni siamo stati noi, quelli della mia generazione, eredi di genitori che avevano fatto la fame e hanno voluto in tutti i modi che noi vivessimo meglio di loro».
 
Lei che padre è?
«Credo di essere stato un padre presente, ho avuto 3 figli da due mogli, una femmina e due maschi, e della mia famiglia sono molto soddisfatto. Con i ragazzi mi diverto moltissimo, la prima è sposata, ma ci sentiamo anche dieci volte al giorno, per raccontarci, per commentare, per decidere di andare a vedere insieme quel certo film... e quando sto con gli altri, bè, è il mio tempo migliore. Se non incontro una vetrina o uno specchio in cui guardarmi mi sento come loro. Con quello di 20 anni, poi, ho un problema...».
Cioè?
«Praticamente è il mio sosia, una cosa impressionante».
È più amico o più padre?
«No no, sono padre. A casa mi piace stare sereno, ma, se qualcosa mi fa girare le scatole, lo dico subito, ne discutiamo, cerchiamo di superare il problema, senza portare rancore».
Da «Eccezziunale veramente» a «Belli di papà»: quanto è cambiato?
«Ho sempre privilegiato il realismo che, come hanno dimostrato Sordi, Gassman e Tognazzi funziona meglio quando i ruoli hanno qualcosa in comune con se stessi, e, nel padre di Belli di papà, c’è molto di me, anche se io sono molto meno ricco... Il personaggio di Eccezziunale mi somigliava al contrario, era l’opposto di me, mi ci sono adeguato, sottolineandone la comicità».
La svolta della sua carriera è arrivata con «Regalo di Natale» di Pupi Avati. Che cosa le ha lasciato quell’esperienza?
«Per un certo periodo Pupi è stato un po’ mio padre, mi ha fatto abbassare la cresta, mi ha insegnato un modo nuovo di rapportarmi alla vita».
Poi ci sono stati gli anni del sodalizio con Salvatores e dell’Oscar a «Mediterraneo».
«Con Gabriele ho vissuto una grandissima intesa. Non sono uno che si esalta, ma l’Oscar è stato importante perchè ha suggellato il legame che univa quel gruppo di lavoro, ma soprattutto di amicizia. E poi c’era l’età, quella che preferisco. Dico sempre che vorrei esser nato a 40 anni, un tempo in cui ormai sei maturo, ma puoi fare ancora le cose che facevi da ragazzo».
Adesso, invece?
«Faccio sport diversi da prima, nuoto, pallavolo, camminate, ma niente pallone, perché con quello finisce sempre che ti fai male».
Tanta vita all’aria aperta?
«In campagna sì, appena posso, a Milano no. Sono andato all’Expo, dopo 6 minuti si erano fatte tre file, una per vedere l’albero della vita, una per il padiglione italiano e l’altra per fare il selfie con me».
Lei piace molto alle donne, come ha gestito il suo fascino?
«Ho cercato di sfruttarlo al meglio, di divertirmi, di stare bene con le persone...bè, per l’impatto iniziale, il fascino è importante».
Se decidesse di darsi alla regia?
«Sicuramente starei attento a non far perdere soldi ai produttori, e comunque farei un film solo se avessi un’idea irresistibile».
La sua più grande fortuna?
«Essermi trovato al posto giusto nel momento giusto, al “Derby” di Milano negli Anni ’70. La mia carriera è iniziata per caso, non ho mai studiato per diventare attore».
La cosa che odia di più?
«L’abitudine a non riflettere sul fatto che, dopo di noi, ci sarà altra gente ad abitare la Terra, quelli che accendono il riscaldamento non guardando il termometro, ma il calendario, senza capire che in quel modo stanno facendo il funerale al pianeta...».