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 2015  novembre 08 Domenica calendario

I gioielli Buccellati, progettati insieme da padre e figlia

Andrea Buccellati, lei è il presidente e il direttore creativo dei gioielli Buccellati. Perché ha presentato la sua nuova collezione, «Opera», per una sera alla Spencer House di Londra e perché questo nome?
«Il nome “Opera” è stata una scelta difficile. Sembra semplice, ma dovevamo trovare un nome che ricordasse l’Italia, il nostro stile e che fosse facile da pronunciare in tutte le lingue. Naturalmente ha a che fare anche con la collezione, progettata per promuovere il nuovo logo che ricorda il Rinascimento, mescolato con l’architettura veneziana. Grazie a questa ispirazione ho disegnato gioielli molto importanti».
Che cosa intende per importanti?
«Pietre costose e creazioni che si indossano per eventi significativi. È stato un successo e poi abbiamo deciso di fare anche una collezione più semplice per la vita quotidiana. Il concetto di avere una linea con elementi ripetitivi è abbastanza nuovo per Buccellati: normalmente i grandi gioielli sono pezzi unici».
Buccellati è un’impresa familiare: lei e i suoi fratelli rappresentate la terza generazione?
«Un paio di anni fa abbiamo venduto il 60% della società al fondo italiano Clessidra. È stato un passo significativo per noi. Abbiamo dovuto affrontare tre passaggi. In primo luogo il cambio generazionale. In secondo luogo avevamo bisogno di capitale finanziario per crescere e, terzo, di creare una gestione capace di sostenere la crescita. Abbiamo deciso di scegliere una ditta italiana per mantenere la nostra identità e la nostra filosofia nello sviluppo della società».
Siete una famiglia milanese?
«Sì. Mio nonno ha aperto l’attività a Milano nel 1919, appena tornato dalla guerra. Ha avuto cinque figli e quattro hanno continuato a lavorare nell’azienda. Mio padre era il creativo e supervisionava la produzione. Ho seguito i passi di mio padre e ho imparato da lui, dedicando la mia vita alla creatività e alla produzione. Ora sto facendo lo stesso con mia figlia Lucrezia».
Progetta tutte le collezioni Buccellati?
«Sì, prima l’ho fatto con mio padre e ora lo faccio con mia figlia. È tipico avere due generazioni che lavorano insieme per trasferire lo stile e la conoscenza da una generazione all’altra».
Come descriverebbe lo stile Buccellati?
«È qualcosa che è immediatamente riconoscibile. Abbiamo un design speciale, unico, e anche se ci sono dei passaggi di testimone si continua a vedere il Dna del concetto Buccellati. Continuiamo a produrre gioielli con le stesse lavorazioni del Rinascimento. Risalta, ad esempio, l’arte dell’incisione, che nessuno più usa, e che è un modo per scolpire e disegnare l’oro».
Quante persone lavorano con lei?
«Circa 250, ma gli artigiani, che sono una parte molto importante del nostro lavoro sono indipendenti. Sono al 90% a Milano. L’investimento più importante per noi è quello di trasferire le conoscenze attraverso le generazioni. Il nostro vero investimento sono le persone e per formare un artigiano adatto al nostro stile di prodotti ci vogliono dai cinque ai 10 anni, soprattutto gli incisori».
E per quanto riguarda le pietre?
«Sono molto importanti, ma per noi sono un complemento, una parte del gioiello. Siamo gioiellieri vecchio stile e la pietra è parte del concetto, non la protagonista assoluta».
Dove comprate le vostre pietre?
«Di base in Italia, a New York, in Israele e in Australia. L’oro è una merce e si acquista dalle banche».
La pietra numero uno è ancora il diamante?
«Naturalmente ogni donna ama possedere un diamante, ma ci concentriamo anche sulle pietre colorate, anche quelle meno note come la tormalina e l’ametista. Devo dire che i clienti capiscono questo tipo di pietre. C’è una qualità di tormalina molto rara che a volte è più costosa del diamante».
Chi è il cliente ideale per Buccellati?
«Una donna sofisticata, che indossa i gioielli con classe ed eleganza. Oggi ci rivolgiamo anche a una generazione più giovane: “Opera” è la linea che rappresenta questo concetto».
Qual è la ripartizione internazionale dei vostri principali clienti?
«Americani, europei e mediorientali rappresentano più o meno il 50-60% dei nostri clienti, il 25% sono asiatici e poi il resto del mondo».
Quali sono i vostri bestseller?
«Probabilmente i nostri bracciali, simili a quelli delle schiave romane, e gli anelli a fascia. Sono i nostri pezzi iconici. Ultimamente anelli e bracciali sono gli articoli più popolari in tutto il mondo».
Come influisce il mutare delle mode?
«Buccellati è in qualche modo un prodotto senza tempo. Non siamo mai di moda o fuori moda. La moda ci dà più idee su come indossare i gioielli».
Avete una collezione di pezzi Buccellati che risale agli inizi della produzione?
«La Fondazione Gianmaria Buccellati è stata istituita da mio padre e ha raccolto 3-400 creazioni di mio nonno e mio padre. C’ è una sala permanente al museo degli Uffizi di Firenze e altre parti della collezione sono state portate allo Smithsonian di Washington, al Cremlino a Mosca e ora alcuni gioielli sono in mostra alla Venaria di Torino».
Traduzione di Carla Reschia