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 2015  novembre 08 Domenica calendario

La sedia di Chiavari, fatta tutta a incastri, che Canova definì «un miracolo di tecnica ed eleganza»

«Quando hai una tavola di legno tra le mani devi saperla leggere e interpretare come fosse un rebus: è una pagina scritta e solo l’esperienza assorbita dai tuoi maestri ti aiuta a decifrare ogni venatura e a immaginare l’oggetto che potrebbe diventare». I profumi del faggio, del ciliegio e del frassino, intensi e inebrianti, che pervadono la stanza. I rumori del tornio e della sega che danno il ritmo alle giornate. I trucioli, che volano nell’aria e cadono sul pavimento, creando imprevedibili fantasie. L’odore della colla scaldata a bagnomaria, che all’istante evoca saperi di un tempo andato. Un tempo sì andato, ma qui custodito e riscoperto. È questo il mondo di Gabriele Levaggi, 36 anni, e del fratello Paolo, 29 anni: un geometra e un architetto che si sono messi in testa di rilanciare la sedia di Chiavari nel mondo. Con gusto. Tradizione. E innovazione.
La tradizione
«Quella del legno è una storia di famiglia – spiega Paolo –. Il nonno e il bisnonno erano segantini: passavano le giornate nei boschi a cercare i tronchi migliori, poi seguendo l’alternarsi delle fasi lunari tagliavano gli alberi a mano, per portare i legni più pregiati agli artigiani della zona. Nel 1963 invece zio Rinaldo, spinto dal successo globale della “chiavarina”, convinse gli altri fratelli ad aprire una piccola impresa artigiana. Io e mio fratello ci siamo cresciuti tra queste mura: i miei primi ricordi da bambino sono mentre gioco tra i pezzi di legno, da adolescente guadagnavo la paghetta con piccoli lavoretti, ma solo da adulto ho capito che era qualcosa di straordinario quello che accadeva qui dentro. Questa sedia è un patrimonio unico, è un emblema del tanto decantato “Made in Italy”, racchiude due secoli di cultura e manualità: valeva davvero la pena di provarci».
Progettata nel 1807 dal falegname Giuseppe Gaetano Descalzi, e definita dallo scultore Antonio Canova «un miracolo di tecnica ed eleganza», la sedia di Chiavari è un mix perfetto di leggerezza e solidità, eleganza e funzionalità. Un gioco ad incastri, senza chiodi e metalli, di una ventina di pezzi perfettamente sagomati e calibrati, rinforzati da un seduta ottenuta da sottili filamenti di giunco intrecciati con un disegno di trama ad ordito direttamente sulla sedia già montata.
Fino agli Anni 80 erano una ventina le azienda impegnate nel territorio, poi la produzione in scala industriale in altre regioni e la produzione di modelli in plastica simili nella forma e uguali nel nome, hanno dato il colpo di grazia ai piccoli artigiani. «Noi siamo partiti proprio da qui, dall’utilizzare il metodo tradizionale in tutti i suoi passaggi. Dalla scelta degli alberi del nostro entroterra fino alla lenta e lunga stagionatura delle tavole. Facendo nostre le conoscenze degli avi, puntando solo sulla qualità».
Dal laboratorio escono una, massimo due sedie al giorno. Insieme a Gabriele e Paolo lavorano altri due collaboratori, mentre spesso fanno capolino papà Ettore e lo zio Italo, ormai in pensione ma sempre pronti ad indossare il grembiule e a dare i giusti consigli.
Lo studio
L’analisi delle nervature e delle fibre delle assi, il taglio, la levigatura, la scelta della dima da utilizzare per sagomare nuove forme, la foratura delle parti, l’assemblaggio: decine di passaggi, sempre uguali e sempre diversi, che chiedono attenzione, sapienza, confidenza con gli attrezzi e una passione che non conosce né orari e né giorni festivi. «Ci sono cose che si imparano solo guardando chi le sa fare. Come la tornitura, che è il momento più bello e affascinante: vedi il legno cambiare forma, diventare quella immagine che tu hai ben impressa nella testa».
Architetti, arredatori o semplici clienti che cercano un pezzo unico e personalizzato: grazie al web e al passaparola le «chiavarine» dei fratelli sono sempre più richieste ed esportare all’estero. Rigorosamente senza rivenditori, per avere un rapporto stretto, diretto e complice con chi desidera proprio quell’oggetto. Perché per trovare spazi di mercato non basta sudare con gli attrezzi del mestiere, ma bisogna inventarsi esperti di marketing, curare la comunicazione, partecipare a progetti europei per la salvaguardia delle foreste e rubare ore al sonno per dedicarsi ai social network. Con un occhio all’ieri e l’altro al domani.
Il futuro
«Quello che ci sprona è il piacere e la soddisfazione nel fare una cosa bella. Zio Rinaldo, l’uomo che ha dato inizio a tutto questo, mi ha trasmesso, senza che me ne accorgessi, il gusto della progettualità e della creatività. Per giungere a “Sefora”, la mia prima sedia, ci ho impiegato un anno e mezzo: intere giornate a plasmare il legno e lunghe nottate passate tra disegni e scarabocchi. Prove ed errori, per non tradire la tradizione ma nello stesso tempo guardare avanti, per trovare una linea sinuosa e minimalista che fosse in grado di garantire comodità e gioia nello stare seduti. Stando sempre accorti a sprecare meno materiale possibile: è legno naturale, frutto di alberi che hanno impiegato anni per crescere, formarsi, rinforzarsi. Avere rispetto per gli alberi è quello che dobbiamo rammentare ogni istante per rispettare le nostre sedie».