Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 08 Domenica calendario

Papà Graziano s’è fatto 1.600 chilometri per raggiungere Valentino a Valencia

VALENCIA. Non è padrone del suo destino, ma siccome il destino non ha padroni, non sai mai con chi si accompagnerà. Ha perso tutto e allora ha ritrovato la speranza, che non ha mai bisogno di una ragione. Sorride e scherza, per la prima volta in questo finale così diverso da come lo aveva immaginato. Valentino Rossi è arrivato al fondo e da lì riparte, senza una possibilità logica di battere Jorge Lorenzo. Eppure.
Se c’è una cosa che questo mondiale di moto Gp ha sconfitto è la logica. Niente è mai stato come lo si aspettava. E adesso siete davvero sicuri che l’ultimo capitolo sia già scritto? Teoricamente sì. Lorenzo ha conquistato la pole position e parte primo, Valentino è penalizzato e parte ultimo. Uno ha davanti l’orizzonte, l’altro un muro. Lorenzo ha schierata dietro di sé la barriera sui calci di punizione della nazionale spagnola (Marquez, Pedrosa, Espargaro), Valentino ha il vuoto, nessuno a difenderlo o sospingerlo. Ci sarà il sole che uno desiderava, perché la pioggia avrebbe aiutato l’altro. Estate a Valencia, autunno a Tavullia. Le condizioni peggiori. Oppure: quelle ideali.
Per dieci giorni Rossi è stato un funambolo sulla corda tesa dei suoi nervi, ha recriminato, invocato giustizia, si è amareggiato per non averla ottenuta. Ancora venerdì era, parole sue: «Più triste che stressato».
Nei primi giri sul circuito che detesta ha fatto buoni risultati, ieri mattina ha insidiato i migliori e tra quelli Lorenzo arrancava, forse si è illuso, ha fatto quei calcoli da tabellina che fanno ammattire i ragionieri (3+6= Primo). Si è snaturato. Perché Valentino può essere molte cose, anche spiacevoli per qualcuno, ma non è un ragioniere e non è un uomo triste. Non è paradossale che l’ottimo tempo conclusivo di Lorenzo, opposto alle sue difficoltà e alla scivolata che l’ha spedito in terra lo abbiano in qualche modo risollevato, liberato. Doveva dirselo: è impossibile, quindi non resta che provarci. La fine è nota, ma solo per chi ha poca fantasia e il destino ne ha da vendere e da regalare. Per Valentino è la vigilia della fine, o quella di Natale. Dipende.
Quando si presenta in sala stampa dopo le prove che avrebbero dovuto scaricarlo ha invece ritrovato le pile. Sa che la situazione è «disperata», ma non seria. Infatti nel giro di tre frasi la declassa a «difficile», poi «complicata, via che è più bello». Coniuga i tre verbi chiave per compiere la missione impossibile: «Partire bene, recuperare, avere culo». E se gli chiedessero in quale percentuale, è evidente che al terzo assegnerebbe la maggioranza. Ripete: «Non dipende da me». Non soltanto e non più. Avrebbe preferito, certo, partire davanti, ma: «Boh, magari scopro che da ultimo è più divertente e poi, non si sa mai...». È l’ultima bagarre, la più sgangherata, venticinque moto davanti e pensare soltanto a superare la prossima, poi quella successiva, poi l’altra ancora, mentre il destino gioca a dadi.
All’ultimo spettacolo Jorge Lorenzo si è presentato così forte da apparire vulnerabile. Fuori dal circuito ha un padre che gli rema contro, una enorme villa disegnata da estranei sulle colline di Barcellona, una tendenza a commuoversi fuori tempo. Valentino Rossi ha un mondo, che comunque vada lo abbraccerà. Linda, la sua ragazza, si è aggirata furtiva e protettiva, defilata, bordeggiando frigoriferi metallizzati e mai perdendolo di vista. Graziano, suo padre, è partito con un pullmino da Tavullia («Boia d’un mondo, non c’eran più biglietti aerei») e si è fatto milleseicento chilometri filati per arrivare a Valencia («Ci vuol mica molto: Genova, Costa Azzurra, a Barcellona volti a sinistra»). Uccio, il suo amico di una vita, è sempre lì accanto, all’incrocio tra un fratello, un socio e una mascotte, a ricordargli che nella vita ci sono cose fondamentali e altre soltanto mondiali. Ieri sera Valentino ha controllato i dati, elaborato strategie conseguenti. Ha cenato presto, è andato a dormire. Stamattina si sveglierà e sarà una domenica diversa, una corsa inedita, ma farà le stesse cose di sempre: nessuna scaramanzia, un quarto d’ora di cyclette, una pasta con pomodoro basilico e parmigiano, un’acqua naturale, qualche chiacchiera di quelle da bar, su qualunque cosa non sia la gara. Quella verrà e avrà i suoi occhi: per cercare gli spiragli, le traiettorie, per uscire dall’imbuto, trovare il passo, crederci quando anche i tabelloni diranno che non ne vale la pena. Vale sempre. La sopravvivenza è un istinto, la riuscita un desiderio. Se non li coltivi, con affetto e disperazione, allora sì che dipende da te.