la Repubblica, 8 novembre 2015
Quarant’anni di Leoncavallo
A ogni 25 aprile, è ancora lo spezzone di corteo più numeroso. Alle ultime Comunali, maggio 2011, ha ospitato un seggio per le primarie del centrosinistra e dato una spinta a Pisapia (spinta di cui non godrebbe Giuseppe Sala, mister Expo, fosse lui il candidato di parte). I cani sciolti, i libertari, i marxisti- leninisti della prima ora sono stati in gran parte sostituiti dalle nuove leve dell’antagonismo, più sintonizzate sulle onde corte dell’hip-hop e del tempo digitale. Su Facebook sono a 59.406 “mi piace”, con post del tipo: “Giovedì, Horses Crew ha il piacere di ospitare Smashing Wednesday Sound System per rendere meno freddo l’infrasetti-manale milanese”. Oltre alla musica, è stato anche adattato il marchio: da “centro sociale” a “spazio pubblico autogestito”, il cui beffardo acronimo è S.p.a. In compenso, continuano a chiamarsi “compagno/compagna” e stampano, in tiratura limitata, un calendario di cui vanno fierissimi: il 2015 ha in copertina un grappolo d’uva con il titolo “No Tav, No Tavernello” e a ogni mese la segnalazione di qualcuno “da non dimenticare “, da Giuseppe Pinelli, anno di disgrazia 1969, a Carlo Giuliani, Genova 2001, e in mezzo Roberto Franceschi, Luca Rossi, Davide Cesare detto Dax, Claudio Varalli, Giannino Zibecchi, tutte reclute spazzate via da una guerra mai dichiarata. Come Fausto e Iaio, l’apice di dolore di questi primi quarant’anni e il collante più potente che ancora tiene insieme la ditta, con i suoi credo (“Qui sono, qui resto”) e il conseguente, esibito disinteresse per gli avvisi di sfratto che ogni mese la Corte d’Appello recapita in via Watteau, puntualmente prorogati dai magistrati e disattesi dagli abusivi.
Giuliano Pisapia ci ha messo del suo per costruire ponti tra il Leoncavallo e il resto della città. Da sindaco, è quasi arrivato a un accordo tra la proprietà dell’immobile e gli occupanti storicamente morosi, con annessa la rivoluzionaria frase “pagare l’affitto”. Non ci siamo ancora, domani chissà. Un paio di vite fa, quand’era avvocato, proprio Pisapia difese settantanove leoncavallini da una grandine di accuse che andavano dal lancio di molotov alla violenza contro agenti e pubblici ufficiali. I fatti risalivano al 16 agosto 1989, quando le “ruspe rosse” della giunta Pillitteri, approfittando del periodo di vacanza, demolirono con un blitz buona parte del centro sociale e gli occupanti risposero dal tetto con un armamentario da guerriglia urbana. Il processo si celebrò nel giugno successivo. «Il clima era pessimo», racconta il sindaco avvocato. «Il presidente del Tribunale, Renato Caccamo, passava per uno molto severo. Gli proposi, prima che si pronunciasse, una visita alla sede del Leoncavallo. Fu ispezionato ogni angolo, alla ricerca di prove a sostegno dell’accusa. Solo che dagli armadietti delle stanze saltarono fuori i quaderni dei compiti di bambini e i diari degli insegnanti che tenevano corsi per gli extracomunitari. La condanna alla fine fu lieve, e con un’attenuante senza precedenti: “Avendo gli imputati agito per motivi di alto valore morale e sociale”. Forse neppure loro se lo ricordano più».
Il 31 ottobre, mentre Milano e l’Italia intera gonfiavano il petto a Rho-Pero per l’happy end dell’Expo, la signora Luciana Castellini, presidente della “Mamme del Leoncavallo”, si è fatta a piedi, aiutata da un bastone per via di tre ernie alla spina dorsale, il lungo e buio corridoio che dal portone di via Watteau 7 porta alla sala della Cucina Pop. Si è seduta a una tavolata vuota, ha cominciato a ricevere baci da vecchi compagni e compagne ricomparsi da chissà dove per il suo compleanno: «Stasera ne faccio novanta, mi aiuteranno a spegnere le candeline. I ragazzi qui mi vogliono bene. Da quarant’anni sono la mia vita». Partono in suo onore due minuti di fuochi d’artificio. Li ha comprati Elisa, stessa età del Leonka, scappata di casa quando aveva sedici anni, unica dipendente assunta in regola nella storia del centro sociale. «Perché lavoro qui? Perché ci ho creduto tanto». Ancora? «Sì». E abbraccia la Luciana come fosse la sua, di mamma. Alle loro spalle, un cartello che resiste da qualche mese: “Chi non limona a Capodanno, non limona tutto l’anno”.