la Repubblica, 8 novembre 2015
Sulle pensioni ha ragione Boeri, ma è ancora troppo timido
Il sistema pensionistico tocca tutti ma è incomprensibile ai più (sottoscritto compreso): monopolio di mandarini e fonte inesauribile di slogan politici, è un cantiere aperto dal ’95, e non se ne vede la fine. Più che apprezzabili dunque i tentativi dell’Inps di proporre un piano (“Non per cassa, ma per equità”) per chiudere il cantiere e documentarne le storture. Ma anche il piano è materiale per mandarini. Un linguaggio più comprensibile sarebbe più convincente. Comunque, quattro i punti principali.
Flessibilità. Logica economica e buonsenso indicano che è meglio lasciare libero il cittadino di scegliere quando smettere di lavorare, posto il vincolo che il debito previdenziale non cambi. Semplificando, secondo la proposta se vado in pensione con dieci anni di vita attesa e 10 euro l’anno, il debito di 100 per lo Stato non cambia se vado in pensione tre anni prima con 7,7 euro. La proposta trascura due elementi. Il primo è che il concetto di valore attuale del debito pensionistico (la cosiddetta equivalenza Ricardiana) in pratica non vale: conta solo l’andamento del debito nell’immediato futuro, che è difficile da stimare. Con la flessibilità, lo Stato fissa un unico “prezzo” del tempo libero: nell’esempio, tre anni in più “valgono” 2,3 euro in meno per il resto della vita. Però ogni individuo ha un proprio valore del tempo libero: se il “prezzo” è troppo basso, moltissimi opteranno per la pensione anticipata; oltre non considerare che il valore del tempo libero a 64 anni è più alto che a 85. L’impatto sulle finanze pubbliche è quindi incerto. Ma se una riforma strutturale è valida, i mercati la capiscono e non ci si deve preoccupare dell’aumento del debito. Se Bruxelles rimane fissata col deficit, si può mercanteggiare con qualche taglio o imposta per salvare la faccia.
Una volta introdotto il principio della flessibilità, perché applicarlo solo alle ex-pensioni di anzianità (42 anni di contribuzione), e solo all’indietro? Andando verso il contributivo generalizzato, perché non generalizzare un criterio tipo -2 e +3 anni per tutti? Chi ha 67 anni, a prescindere dai contributi versati, o 42 anni di contributi, può andare in pensione 2 anni prima o 3 anni dopo, con un costo/premio basato sulla speranza di vita e contributi versati che stabilizzi il debito previdenziale.
Contributivo. La riforma del ’95 introdusse il contributivo, senza estenderlo però a tutti lavoratori e pensionati, ma facendo pagare la riforma solo ai giovani. Via via si è allargata la platea. Se capisco bene, si propone ora di convergere rapidamente al contributivo per tutti, ricalcolando le pensioni in essere e i diritti previdenziali, anche per unificare i trattamenti della miriade di gestioni confluite nell’Inps e per spazzare via lo scandalo dei vitalizi di politici e sindacalisti. Una proposta che rasenta l’ovvio. Ma manca, come da 20 anni, la volontà politica. L’Inps lo riconosce implicitamente, e pecca di timidezza proponendo la riforma solo per i pochi trattamenti oltre i 5.000 euro (e graduale da 3.550). Se anche passasse, dunque, non sarebbe la chiusura del cantiere.
Accorpamento. In media l’Inps paga 4 pensioni ogni 3 pensionati: un’assurdità. Ovvia la proposta di accorpamento, che andrebbe però estesa alla Gestione Separata: una vergogna che, col pretesto della pensione per tutti, è stata usata come strumento per tassare e penalizzare il lavoro atipico e a tempo determinato.
Pensioni, non assistenza. Il punto più importante. L’uso del sistema pensionistico come surrogato dell’assistenza sociale (vedi abuso dei prepensionamenti) ha generato tante storture. Gli esodati sono una di queste. Chi rimane disoccupato a 55 anni fa molta fatica a trovare un qualsiasi nuovo lavoro, e non ha reti di protezione. L’Inps propone un reddito minimo agli over 55, slegato dalla pensione. La flessibilità in entrata delle pensioni è poi un’opzione in più per il lavoratore scoraggiato. Così si separano pensioni e mercato del lavoro. Condivisibile. Ma perché non andare un passo oltre? Fermo restando reddito minimo e flessibilità, in cambio dell’abolizione del reintegro e maggiore libertà di licenziamento individuale e collettivo, perché non prevedere un indennità crescente con l’anzianità e inversamente agli anni che mancano alla pensione per gli over 55, con l’obbligo di incorporare nell’indennità anche i contributi mancanti al minimo per la pensione? Si aumenterebbero flessibilità del mercato ed efficienza: gli over 55 non sono necessariamente costi da eliminare e i prepensionamenti sarebbero una libera scelta delle parti, facilitando la ristrutturazione dei tanti settori in crisi o con capacità in eccesso che rallentano la ripresa.
Alla proposta Boeri è dedicato Il Fatto del Giorno di ieri