la Repubblica, 8 novembre 2015
Sta al Polo Nord l’Arca di Noè vegetale
LONGYEARBYEN (ISOLE SVALBARD). Nella penombra che precede la notte polare, il portone di cemento armato si confonde con la parete rocciosa dove è stato scavato il tunnel: salvo l’acqua color petrolio dell’Oceano Artico, tutto è grigiastro, perfino la neve. Ci avevano detto che è più facile scassinare Fort Knox che penetrare nel Global seeds vault, il bunker a solo un migliaio di chilometri dal Polo Nord dove sono conservati i campioni di tutti i semi del pianeta. In realtà, per visitare quest’Arca di Noè vegetale, dalla quale, in caso di guerra o di cataclisma naturale, i Paesi donatori potranno riavere indietro il patrimonio genetico andato distrutto, è bastato scrivere una mail. La risposta è stata immediata e l’appuntamento fissato per fine ottobre, in occasione dell’arrivo di nuove sementi.
L’ingresso della cripta è appena fuori Longyearbyen, capoluogo dell’arcipelago norvegese delle Svalbard e cittadina che vanta alcuni primati, tra cui l’università, l’ufficio postale e l’hotel più a nord del pianeta. Oggi, il sole è rimasto sotto l’orizzonte, ci sono 6 gradi sottozero e un vento che stacca la testa. «Dentro fa molto più freddo, ma non se ne accorgerà perché l’aria è più secca», dice il biologo norvegese Åsmund Asdal, un gigante che ci apre la prima porta verso il forziere dell’agricoltura globale, costruito in calcestruzzo per resistere a un attacco nucleare o a un incidente aereo. Percorriamo allora un corridoio lungo un centinaio di metri, varchiamo poi una pesante porta d’acciaio, ed eccoci finalmente nel cuore dello scrigno, nel sancta sanctorum del deposito. Ma qui è necessario un pizzico di fantasia, una buona dose di astrazione, altrimenti la delusione è forte. Già, perché tutto consiste in una mezza dozzina di scaffali pieni di casse di diversi colori. Ricorda un deposito di auto-ricambi o il riparto “mobili da montare” di un megastore dell’arredamento. Eppure, in queste casse è conservato tutto ciò che per nutrirsi l’uomo ha selezionato negli ultimi 14cimila anni, in ogni luogo del pianeta dove è riuscito a insediarsi, dalle paludi della Mezzaluna fertile nel Neolitico alle avveniristiche serre con colture ad acqua delle pianure olandesi. In questa stanza c’è la storia della nostra evoluzione, dalle prime domesticazioni di cereali ai recentissimi brand della rivoluzione genetica.
Dice Åsmund: «Ad appena otto anni dall’inaugurazione del tunnel, abbiamo ricevuto la prima richiesta di prelievo da ricercatori di Aleppo in fuga dallo Stato islamico. Ecco, vede quel buco tra gli scaffali? Ebbene, lì c’erano le casse che abbiamo appena spedito alla banca dei semi siriana che, dopo essere stata bombardata in patria, si è trasferita in Libano e in Marocco». Nel 2008, l’allora presidente dell’Ue Manuel Barroso definì il tunnel «un giardino dell’Eden ibernato, un luogo dove la vita può essere mantenuta in eterno, qualsiasi cosa accada». Quanto è appena successo gli dà pienamente ragione. Il Global seeds vault è una sorta di seconda garanzia, dopo quella delle 1400 banche di semi locali, per conservare i genotipi più preziosi di ogni terra e nazione. «Chiaramente, da qui noi li rispediremo indietro solo a chi ce li ha dati e a nessun altro», precisa Åsmund. Con l’ultimo arrivo, la cripta s’è arricchita di semi di riso filippino, di manghi nigeriani, di banane della foresta camerunense, di lattughe belghe, approdati a Longyearbyen dopo quattro ore di aereo da Oslo in 21 casse cariche di bustine sigillate.
Una volta penetrati nel cuore del deposito, una sala glaciale lunga 27 metri e larga 10, basta chinarsi sulle casse per accorgersi che provengono davvero dall’intero pianeta, dalla Corea del Nord al Madagascar, dagli Stati Uniti alla Russia. Alcune hanno perfino un’etichetta sovietica, perché erano evidentemente semi lasciati in qualche deposito prima del 1989. «Sì, conserviamo sementi da più Paesi di quanti ne esistano in realtà», sorride Åsmund. E dall’Italia? «Dall’Italia è arrivata poca roba: il genotipo di un mais molto particolare dall’Orto botanico di Pavia. Nient’altro. È ovvio che da un Paese con una biodiversità agricola ricca come la vostra, vorremmo altri depositi». In compenso, italiano è il sistema di raffreddamento che mantiene la stanza a -18 e con un bassissimo grado di umidità, condizioni ideali per la conservazione dei semi.
Il biologo mi mostra una tabella dove sono registrati tutti gli arrivi dal 2008: nel tunnel sono giunti più di 860mila campioni di diverse specie, per un totale di mezzo miliardo di semi. A questi campioni vanno aggiunte le 10mila specie appena arrivate, ma vanno sottratte le 38mila rispedite alla banca di semi siriana. Per la cronaca, il seme più rappresentato è quello di girasole, che conta 156mila diversi genotipi. Ma qual è il movente ultimo del Global seeds vault?, chiediamo ad Asmund. «È forse solo filantropico», dice il gigante norvegese, calandosi con forza il cappello di lana sulla testa. «Un giorno potrebbe infatti servire a evitare l’apocalisse».