Corriere della Sera, 8 novembre 2015
Canada, successo del giovane Trudeau e dei suoi 30 ministri (15 uomini e 15 donne)
L’hashtag #because_its_2015 è l’ultimo tormentone del Canada. Corre in rete più diretto di un inno nazionale, più forte di qualsiasi promessa. La frase con cui Justin Trudeau, il nuovo, giovane e aitante premier ha replicato – sorridendo, ovviamente – ad una delle prime domande del suo mandato – «perché ci tiene tanto alla parità di genere?» – è più di una risposta. È una dichiarazione d’intenti. Come lo è il post da svariati milioni di «likes» che riprende l’insediamento del «governo più “diverso” che ci sia»: sta spopolando lungo i 9000 chilometri del Paese americano che ha fame di farsi conoscere nel mondo – non solo per le sue renne e lo sciroppo d’acero – e di prendersi pure qualche rivincita sul potente vicino statunitense.
La sfilata dei 30 neo-ministri lungo la Rideau Hall ad Ottawa, mercoledì scorso, era una fotografia del Canada che sta cambiando: 15 donne e 15 uomini, ma anche due ministri appartenenti alla «Prima nazione», come vengono chiamati quassù gli aborigeni, un’indiana We Wai Kai (alla Giustizia) e un Inuit (Pesca e oceani), e poi un astronauta (Trasporti), un’atleta paraolimpica non vedente (Sport), un veterano sikh della guerra in Afghanistan (Difesa), una rifugiata musulmana (Istituzioni democratiche). E per mostrare che sta davvero stravolgendo le regole del gioco, il premier Justin ha rotto l’austero protocollo e ha invitato il pubblico a godersi lo show, prestandosi a centinaia di selfie e postando il giuramento in diretta su Periscope.
I giovani sono entusiasti, i più anziani lo considerano degno erede del padre, Pierre, che fu primo ministro per un quinquennio ed ebbe pure una love story con Barbra Streisand. Justin sorride, e rifiuta paragoni ingombranti. Al suo fianco, fiera come forse mai prima davanti ai riflettori, è tornata pure Margaret, la madre che tanto scandalo fece negli anni Settanta per il suo passato hippie, i party selvaggi con i Rolling Stones e poi la fuga a New York, i bagordi con Andy Warhol e la «seconda vita» da fotografa, sotto l’ala di Richard Avedon. Oggi Margaret ha 67 anni e indossa discreti orecchini di perle. Da tempo ha fatto outing: soffre di disordine bipolare, per questo ha fatto tante follie nella vita. E il Canada sembra averla finalmente perdonata.
La Trudeaumania impazza, e non solo sui social. Ormai pronta a varcare i confini. Il talentuoso leader dei Liberali, dopo aver conquistato la maggioranza assoluta al voto del 19 ottobre, ponendo fine a nove anni di governi conservatori, si prepara al debutto internazionale in pompa magna: da qui a dicembre, incontrerà capi di Stato e di governo ai vertici del G20, dell’Apec, del Commonwealth e alla Conferenza Onu sul clima di Parigi. È un palcoscenico che non lo spaventa. Fin da piccolo accompagnava il padre per il mondo. Ora tocca a lui. Ha già chiarito che il Canada sospenderà i raid aerei in Siria e Iraq, deve ancora spiegare come concilierà il suo animo ambientalista con gli interessi della potente lobby petrolifera. Intanto indica la linea di un governo che piace ai giovani. Ha promesso di ridurre la spesa pubblica, tassare i più ricchi, legalizzare la cannabis, riconoscere il diritto all’eutanasia. La sfida è aperta.