Corriere della Sera, 8 novembre 2015
Il Sinai com’è: beduini di qua, burocrazia di là
CANALE DI SUEZ
È arrivando sulla sponda orientale del canale che ci si rende conto della distanza che separa il Sinai dal resto dell’Egitto. Da Suez a Porto Said la striscia d’acqua può costituire un vero e proprio confine, come in questi giorni dove i militari egiziani in assetto di guerra controllano documenti e bagagli. Ieri siamo rimasti quasi tre ore fermi in coda al posto di blocco prima del tunnel tra le due sponde, aperto nel 1983, costruito una trentina di metri sotto il fondo del mare e lungo circa tre chilometri. «Talvolta si passa in trenta minuti. Però si può restare bloccati per oltre cinque ore», dicono i taxisti. La causa dell’ingolfamento odierno? Gli eterni lavori in corso, ma soprattutto la sicurezza rafforzata con tanto di carri armati al centro della carreggiata. Ormai appare evidente la pista terroristica nell’abbattimento dell’aereo russo, Isis è alle porte, minaccioso, capace di innestarsi sul malcontento dei Fratelli Musulmani. Ovvio che il governo del presidente al Sisi prenda provvedimenti seri.
Risultato: il canale diventa più profondo. Da questa parte la penisola desertica e montagnosa, dall’altra il Sahara e il Nilo. Sono quasi 400 chilometri da Sharm el Sheikh, ne mancano 130 al Cairo. Di qua le catene rocciose segnate dai bianchi avvallamenti dei wadi, le sabbie mediterranee sino a El Arish e quelle del Mar Rosso tanto celebrate dal turismo internazionale. Di là una storia plurimillenaria legata al grande fiume, l’agricoltura ritmata dai cicli delle piene, le vestigia della cultura dei faraoni. Soprattutto, da una parte l’anarchia beduina, con le tribù che obbediscono solo alle leggi del deserto, dall’altra uno degli Stati più vecchi del mondo, centralizzato all’eccesso, oberato da una burocrazia barocca. Non sarà mai sufficientemente sottolineato questo aspetto.
I beduini del Sinai sono prima di tutto fedeli alle loro tribù, alle tradizioni che rinnegano i confini, alla possibilità di muoversi liberamente. Ricordano da vicino quelli libici, che Gheddafi asservì solo grazie a patteggiamenti personali con i loro capi e oggi si scontrano frontalmente con i governi di Tobruk e Tripoli. «I beduini sono anarchici nell’anima, apprezzano soltanto chi li lascia liberi di seguire le loro consuetudini. Detestano per esempio di dover fare la patente e rifiutano di mettere le targhe sui loro gipponi», dicevano tanti anni fa gli israeliani che avevano occupato l’intero Sinai dopo la guerra del giugno 1967. Se li erano ingraziati anche regalando loro le jeep di fabbricazione russa catturate dopo la disfatta dell’esercito egiziano. «Le jeep sono i loro nuovi cammelli»: dicevano gli israeliani, con una battuta forse un poco scontata, ma realistica. Non è un caso che ancora nel 2005, dopo le tre bombe che causarono decine di morti tra gli hotel di Sharm el Sheikh, ci fossero beduini locali che rimpiangevano «i tempi in cui si poteva viaggiare senza targhe». Su questa cultura profonda del rifiuto dello Stato centrale il fondamentalismo islamico, in quanto movimento di opposizione strutturato, trova terreni fertili. Che siano i gruppi qaedisti di qualche anno fa, o la loro versione più alla moda influenzata dal Califfato, poco cambia. Tra contrabbandieri, trafficanti di «schiavi» catturati tra i profughi in fuga dall’Africa e il malcontento dei «rais» beduini, Isis potrebbe avere vita facile.
Il viaggio per raggiungere in auto il Cairo, sfuggendo al blocco caotico dell’aeroporto di Sharm, diventa così un modo per ripercorrere alcune tappe della storia recente del Sinai. Sono le spiagge incantate prima delle scogliere di Ras Muhammad, sulla punta estrema della penisola, a far ricordare quanto lo sviluppo turistico sia relativamente recente. Dove oggi sono situati gli alberghi, i centri nautici, i ristoranti, i mercatini, sino alla fine degli anni Settanta non c’era nulla. Mare, sabbia e qualche misera palma facevano da contorno a una natura incontaminata. A Naama Bay, la baia oggi più rinomata di Sharm, una cinquantina di beduini locali affittavano per mezzo dollaro al giorno (ma con possibile sconto a 30 cent se si stava più di cinque giorni) una minuscola capanna di canne con tanto di anguria o melone quotidiani. Clienti abituali erano alcune colonie di nudisti nord-europei e i soldati israeliani in licenza. L’esplosione del turismo occidentale di massa arrivò solo ben dopo gli accordi di pace di Camp David nel 1979. Seguirono i ritiri israeliani per tappe. E fu allora che Sharm divenne una sorta di pianeta a parte, assolutamente altro rispetto alla povertà dell’Alto Nilo e dai quartieri sovrappopolati che ammorbano le maggiori città egiziane, un polo economico centrale nell’era di Hosni Mubarak.
Risalendo verso Nord lungo il Mar Rosso s’incontrano poi i resti dei carri armati distrutti nella guerra del 1967. Ma sono ormai ferraglie arrugginite, visibili solo conoscendo il posto. A una sessantina di chilometri da Suez, prima delle zone paludose dei Laghi Amari, sono sorti negli ultimi tempi numerosi resort per turisti egiziani. Hanno nomi altisonanti: Wonderland, Lagoon, Nozha Beach, Golden Beach, Queen. Dal Cairo ci si viene per il fine settimana. E da qui il Sinai sembra molto più vicino, se solo non ci fosse l’incognita del tunnel…
Il Fatto del Giorno è dedicato all’esplosione dell’Airbus russo