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 2015  novembre 07 Sabato calendario

Andrea Pinchi, l’artista che vive sul tetto

Il pavimento della casa di Andrea Pinchi è a schiena d’asino, leggermente rialzato al centro e spiovente verso i lati. Una tecnica utilizzata dagli architetti per favorire lo scorrimento dell’acqua. Ma in questo caso, obbligata dal soffitto con volta a botte della chiesa sottostante. La casa di Andrea Pinchi si trova infatti sopra la navata di Santa Maria in Campitelli, uno dei santuari mariani più antichi di Roma, gioiello del barocco progettato nel 1662 da Carlo Rainaldi, allievo del Bernini, e realizzato da Giovanni Antonio De Rossi.
Situato tra il Campidoglio e i resti del teatro di Marcello, conserva l’immagine della Madonna in Portico, che i romani pregavano ogni volta che venivano minacciati dalla peste. L’abitazione è in realtà la soffitta della chiesa, a pianta rettangolare come la navata: un unico stanzone di cinquecento metri quadrati, senza pareti divisorie interne, coperto da un tetto di laterizi lasciati a vista e sorretti da una travatura in ferro verniciato. Pinchi vi ha installato il suo studio di pittore, ospite della comunità di Santa Maria in Campitelli, che ha deciso di rinnovare una tradizione degli anni Sessanta, quando lo spazio veniva messo a disposizione degli artisti.
E ha finito per abitarci, adattandosi all’estrema austerità del luogo, ma affascinato dalla straordinaria bellezza che prorompe all’interno dalle venti finestre aperte su tre lati. Inquadrano, in una veduta stupefacente e a distanza ravvicinata, il teatro di Marcello e il Campidoglio, la lanterna a torciglione di Sant’Ivo alla Sapienza e tutte le cupole di Roma: da Sant’Andrea della Valle a San Carlo ai Catinari, dal Pantheon e alla Sinagoga. Più lontano il cupolone di San Pietro.
La cupola di Santa Maria in Campitelli si può quasi toccare allungando il braccio dalle finestre della parete più corta e, scendendo una stretta scala interna, si passeggia sul camminamento che la circonda.
Pinchi vi abita da tre anni. Prima viveva a Foligno, dove restaurava antichi organi a canne. Aveva imparato dai genitori, organari da più generazioni. Lavorando a casse armoniche e canneti, restò affascinato dai materiali resi fragili dall’uso e dal logorio dei secoli e ormai bisognosi di essere sostituiti. Anziché buttarli via, cominciò a raccogliere questi frammenti, lacerti di pelle d’agnello e stoffe, stralci di carta da musica talmente vecchi da apparire bruciacchiati, lastre metalliche, legni barocchi scolpiti dai tarli. Alla fine, decise di riportarli in vita per mezzo del colore.
Nascono così i suoi quadri, dove, galleggiando su fondi di azzurro, rosso, viola, giallo, gli scarti dei vecchissimi organi si ricompongono in un’unità armonica, spesso poetica, altre volte ironica. Ecco, evocate dai titoli, le «anime che viaggiano» e le «anime in fiamme», la serie dei «totem e tabù» di freudiana memoria, le «piume di stelle». Un mondo fantastico in cui i colori di fondo hanno il sapore di quelli amati da Wassily Kandinsky, che si mise in testa di fissare sulla tela tutta la sinfonia dei colori della natura, per cogliere la forza enorme con cui li sentiva risuonare.
Fu grazie alla musica che Pinchi si conquistò il sottotetto della chiesa: «Fui chiamato dal maestro di cappella Vincenzo Di Betta, che cercava un piccolo organo per la cantoria di questa chiesa. Io conoscevo una mecenate svizzera che ne aveva uno del 1635 ed era disposta a prestarlo per uno spazio prestigioso».
Fu così che Pinchi si trasferì in questo spazio bellissimo e altrettanto scomodo, raggiungibile salendo a piedi milioni di gradini per una scala tortuosa e stretta. Tanto che era quasi impossibile trasportarvi mobili.
Si è arrangiato arredando con le vecchie panche da chiesa trovate nei ripostigli disseminati sui pianerottoli, o creando lui stesso gli accessori indispensabili, come il divano letto costruito con bancali da trasporto sovrapposti o il tavolo assemblato con i fondi di chiusura di un mantice d’organo dell’Ottocento, ricoperti di carta da musica con le note di un’opera lirica e infine da una lastra di vetro.
I dipinti di Andrea Pinchi si potranno vedere, insieme a quelli del suo amico Angelopoulos, nella mostra «Tra anima e materia. Tra memoria e tempo», aperta dal 12 al 25 novembre al Complesso del Vittoriano.