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 2015  novembre 06 Venerdì calendario

Quella sera del 1979 in cui Bill Bernstein scoprì lo Studio 54

Alla fine degli anni ’70, la rivista Village Voice mandò il fotografo Bill Bernstein allo Studio 54, la celebre discoteca di New York, per documentare una cena di gala in onore di Lillian Carter, madre del Presidente americano (la fortunata era seduta accanto a Andy Warhol). Finita la cerimonia, gli habitué del club iniziarono a riempire la pista da ballo, e Bernstein ebbe l’intuizione di restare. Comprò 10 rullini di pellicola da un fotografo che se ne stava andando, e iniziò a scattare. La prima immagine che lo colpì è quella che compare sulla copertina del volume Disco, pubblicato da Reel Art Press (pp. 176, £ 40): una coppia
che sembra uscita dalla Berlino anni ’30. Dice Bernstein: “In quel periodo stavamo assistendo alla liberazione dei gay, delle donne, all’uguaglianza razziale, e tutto questo si ritrovava sul dancefloor. Potevi vedere un broker di Wall Street tranquillamente seduto accanto a un trans di colore: nessuno ti giudicava. Soltanto, stare insieme a tutta quella gente ti dava uno sballo naturale”. Bernstein ci prese gusto, e iniziò a fotografare le discoteche di Manhattan: il Mudd Club, a TriBeCa, dove gli artisti andavano ad ascoltare i Sex Pistols e i Clash; il Roseland, dove i latinos mettevano in mostra i loro abiti sgargianti; l’Empire, una discoteca dedicata ai pattini a rotelle, tutta sudore e competizione: “Uno dei pochi posti dove sorridere era cool”, dice Bernstein; il GG’s Barnum: “Un paradiso transgender, in cui i ballerini si esibivano su un trapezio sospeso”; e il Paradise Garage, dove suonava un dj leggendario, Larry Levan. Con l’arrivo degli anni ’8o la festa finì: lo Studio 54 chiuse per evasione fiscale, la malattia che colpiva la comunità gay prese il nome di Aids, e la disco improvvisamente passò di moda. Per fortuna restano le fantastiche foto di Bill Bernstein, a raccontarci questa giovinezza collettiva ancora spensierata.