Rolling Stone, 6 novembre 2015
Giuliano Ferrara e le cesoie di Erri De Luca
Erri De Luca è uno scrittore napoletano di lezioso successo, è il darling di tutti coloro che si sentono buoni lettori, buoni cittadini, bravi ecologisti, tutti coloro che si percepiscono peccaminosamente come persone pulite, dalla sensibilità naturalmente incorrotta. Dico “peccaminosamente” perché ho dato un’occhiata al Vangelo e lì, per dirla con il caro amico Erri, è scritta una “parola contraria” che ha retto nel tempo: chi è senza peccato scagli la prima pietra. Non è facile scrivere parole contrarie, tanto meno che durino nel tempo e suscitino fede in chi le ascolta. Il caro Erri, per difendersi in un processo in cui era accusato di aver incitato al sabotaggio della rete ad alta velocità in Val di Susa, ha scritto un piccolo rap del secolo scorso. E una paginetta da meditare, a prescindere dall’esito del processo che è un caso di costume nell’Italia di oggi, molto diverso dai casi di coscienza e di libertà del secolo scorso, per esempio l’Affaire Dreyfus, il capitano ebreo dell’esercito francese ingiustamente condannato alla Cayenne in un quadro di ostilità antisemita. Mentre il J’accuse di Emile Zola in difesa del capitano ancora mi fa venire i brividi, il rap del caro Erri, con tutto il can-can orchestrato in suo sostegno da intellettuali e politici in cerca di consenso libertario, mi fa un po’ ridere.
Il rap è un genere sporco, detto con le migliori intenzioni. Il rapper va contro la mediocrità sociale, il pensiero coatto, unico, il benpensiero dei benpensanti. Per questo spesso il rapper seduce, è sexy, tocca le corde di una sensibilità vissuta e allude alla solitudine di chi canta senza essere compreso, senza essere stimato, senza cercare né comprensione né stima. In questo senso è l’evoluzione del Kabarett anni ’20 o ’30, un genere intimamente politico di musica con parole e gesti, ma il rap è più cupo di natura, a parte Jovanotti che è leggero e spendibile per una buona serata tra amici. E come questo secolo: apocalittico. Cerca di svelare il mistero di un’esistenza sociale in cui l’individuo si perde, ansima, si fa e si disfa. Le trombe ritmate del rapper suonano un motivetto da fine del mondo, e per questo muovono lo spirito, si vendono bene, comunicano in modo universale.
Niente di tutto questo nel rap del caro Erri. Ha fatto l’elogio delle cesoie utili a tagliare gli sbarramenti che proteggono il lavoro degli operai intenti a costruire un tunnel, e lo rivendica come sabotaggio, come parola contraria in linea con l’articolo 21 della Costituzione italiana sulla libertà d’espressione. Rivendica il diritto di pensarla come tutti i suoi pari, scrittori e intellettuali e giuristi costituzionalisti e politici di grido di una generazione perduta per ogni verità non convenzionale. Gli è andato subito dietro il presidente francese Hollande, campione di un socialismo smarrito, bolso, ormai largamente minoritario, travolto dai drammi europei e nazionali che premono alle porte del nostro way of life. Gli sono andati dietro gli intellos, il tout Paris della trasgressione conformista, quelli che le forze della reazione in agguato ci minacciano, che vorrebbero togliere la libertà di parola contraria a chiunque davvero la pronunci.
Il caro Erri dovrebbe sapere che questa è un’epoca difficile per le scampagnate ecologiste con bomba carta e cesoie. Il senso antiquato di una comunità in lotta per la difesa della sua terra, cioè il movimento sedizioso ma bonario della Val di Susa, si scontra con vere tragedie della parola contraria. E un tempo in cui, ma nessun intellò se ne è davvero accorto, uno scrittore è entrato qualche mese fa nella cattedrale di Notre Dame de Paris, ha lasciato un messaggio sconfortato per il declino della civiltà e della cultura occidentale in cui credeva, e si è tirato in testa un colpo di rivoltella. Ecco, quello è stato un rap senza frivolezza, senza sciatteria, senza cesoie, ma con la polvere da sparo. Una testimonianza all’ombra di una cattedrale, un suicidio nella cattedrale al cospetto di un altare su cui è stata deposta una visione tragica della vita e dell’esistenza. Non voglio spingere nessuno, e tanto meno il caro Erri, a giocare, nemmeno per scherzo, con riti sacrificali come quello di Notre Dame. Ma voglio ricordare che di questi tempi arringare le folle per impedire la costruzione di una linea ferroviaria, in nome di idealità che ingannano la buona fede del popolo, in difesa della fregnaccia del chilometro zero, non è parola contraria, è parola debole e confusa. Quelle cesoie non valevano nemmeno il prezzo, piuttosto basso, del processo che le ha trasformate in simbolo, a mio giudizio ridicolo, della libertà di parola. Comunque, assolto. Much ado about nothing.