ItaliaOggi, 6 novembre 2015
La sempre maggiore presenza della tecnologia nelle fabbriche sta riducendo al minimo il fabbisogno di lavoro umano, ma la scomparsa di tanti posti di lavoro è un problema economico oltre che sociale
Il mondo avanzato è alle soglie di una terza rivoluzione industriale che, dopo la prima (quella meccanica) e la seconda (quella informatica), sta portando il cosiddetto Internet delle cose in fabbrica, pervadendo tutte le fasi della catena produttiva e commerciale di tutti i prodotti, dalla loro ideazione e progettazione alla produzione, alla logistica, alla vendita e alla relazione col cliente.
In sostanza, tre fattori tecnologici potentissimi si coalizzano oggi per automatizzare funzioni che la prima informatizzazione aveva lasciato ancora a onere, e onore, dell’uomo: la sensoristica, capace di rilevare qualsiasi comportamento umano e reazione materiale e meccanica dei prodotti e delle macchine produttive; la rete-internet ubiquitaria, che permette di veicolare i dati raccolti dai sensori in tempo reale e ovunque; l’intelligenza artificiale, che permette di analizzare i dati raccolti in tempo altrettanto reale, tradurli in input produttivi o commerciali, ed imparare sui dati stessi senza bisogno dell’intervento attivo dei programmatori (cognitive computing).
Insomma: se in una fabbrica tessile cento anni fa lavoravano mille operai che il telaio meccanico dimezzò e la robotizzazione ridusse a 100, oggi ne basteranno 5, purché non operai ma tecnici informatici, in grado di far funzionare quell’enorme «computer dedicato» in cui la fabbrica stessa si è ormai trasformata. E degli altri 995 che ne è stato? I primi 500 persero il posto per colpa del telaio meccanico con relativa gradualità nel tempo; i successivi 400 furono protetti dal «welfare» degli anni 70-80 e 90.
Sarà invece difficilissimo reimpiegare gli ultimi 95 a essere scalzati dalla robotizzazione.
E qui, direbbe Totò, casca l’asino. Perché la tecnologia, totalmente ingestita dalla politica e incapace di autoregolamentarsi, sta potenziando esponenzialmente la nostra capacità di creare e offrire prodotti e servizi, ma al prezzo di ridurre al minimo il relativo fabbisogno di lavoro umano, necessario a realizzarli, e col lavoro ridurre anche al minimo, nel sistema, la disponibilità di reddito che serve ad assorbire l’accresciuta offerta di quei prodotti.
In sostanza: da un lato i Paesi ricchi producono e straproducono; dall’altro iniziano a manifestarsi gli effetti riduttivi dell’Internet delle cose sull’offerta di lavoro e quindi sui redditi e quindi sui consumi, già depressi come non mai dai sette anni di crisi appena alle spalle che hanno sfiancato il ceto medio e medio basso; per cui in Italia sta ripartendo la tendenza ad accantonare risparmi anziché spenderseli in acquisti. Ed è impensabile, oggi, che la politica possa gestire tutto questo.