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 2015  novembre 06 Venerdì calendario

Quando Sarri lavorava in giacca e cravatta, in banca. Gli ex colleghi di Mps ricordano

La sala cambi era una grande panchina, nelle partite tranquille sui mercati si raffreddava la tensione. A quel punto, tra fogli di lavoro farciti di numeri, eccone un altro con certe strane frecce. «Oh Secco, che tu fai ? Fa’ un po’ vedere?», chiedeva sempre Graziano, gomito a gomito, e il collega rispondeva alla stessa maniera: «Grei, mi fo’ lo schema per domenica». C’erano spesso bollenti derby toscani all’orizzonte: a Firenze, ufficio cambi del Monte Paschi Siena, ne hanno vissuti parecchi. Maurizio Sarri, che a Napoli ha depositato una cambiale da riscuotere a fine stagione, è diventato allenatore arguto lì, negli anni mai dimenticati da impiegato di banca. Mattine in ufficio, pomeriggi sui campi di provincia. Conti e moduli, moduli e conti: nessuno ha mai notato la differenza. Perché quanto seminato nel primo lavoro, si raccoglie oggi nel secondo e Graziano Moncini, storico compagno di banco in Mps, sa perché adesso il San Paolo osanna l’amico-collega: «Mi chiamava Grei, io Secco: era puntiglioso e metodico, un organizzatore. Nell’ufficio cambi si agisce di squadra e lui era il leader dello spogliatoio. Il carisma e l’equilibrio li ha portati nel calcio». E poi quella dote fulminea, un pensiero veloce come Insigne: «Sui mercati finanziari decidi in un secondo, devi essere freddo e razionale: se ti si infortuna un giocatore è uguale, serve subito la soluzione».
È entrato giovane: posto sicuro e stipendio ottimo, ambizione suprema di ogni italiano medio. Ma nella testa del bancario c’era un’idea da annaffiare poco alla volta, l’utopia di trasformare la passione in mestiere: «Ha scommesso su se stesso e ha vinto meritatamente», racconta Fiorella Detratti, altra collega piena di ricordi felici. Lei e Sarri hanno varcato la porta lo stesso giorno: «Abbiamo iniziato assieme il 7 gennaio 1980 con la pratica bancaria, poi due carriere diverse. Era vero e timido, si apriva solo dopo un po’. Non un maniaco che parla solo di pallone, però lo sport ce l’ha nel Dna: mio zio conosceva il suo babbo, ottimo ciclista. Poteva diventare professionista, si chiamava Amerigo». Il figlio Maurizio, invece, scollinava sulla fascia sinistra e da terzino amatoriale divenne allenatore dello Stia, Seconda Categoria in provincia di Arezzo. Da lì la scalata a mani nude: Faellese, Cavriglia, Antella, Valdema, Tegoleto e Sansovino, la squadra con cui si è arrampicato al professionismo con tanto di vittoria della Coppa Italia di D nel 2003. Lo ricordano come un miracolo, ma è stato solo «lavoro e determinazione». Una gigantesca gavetta e un carattere scolpito nella pietra: «In banca andava al sodo, pure da noi bisogna centrare l’obiettivo – continua Moncini –. Lui l’entusiasmo l’ha sempre contenuto, non esultava in ufficio, neanche quando andava all’estero. E anche adesso non lo vedrete correre sotto la curva». Certo, è rimasto pure altro, un vizietto «esagerato» che sa tanto di tortura: «In ufficio non si poteva fumare. Quando lo inquadrano in panchina vedo la stessa sofferenza: mastica il tabacco, poverino». Oggi la tuta sembra uno status symbol, fotografa l’allenatore pane e salame venuto a insegnare calcio romantico in città. Eppure, un tempo l’armadio era assai fornito: «Un tipo elegantissimo: Galliani dovrà mangiarsi le mani due volte se non l’ha preso perché pensava non fosse cool», dice la Detratti. Scavando a fondo nel look, invece, il ritratto si fa noir: «Cappotto nero, camicia nera, giacca nera: un tenebroso che piaceva molto alle donne». La leggenda racconta che per anni vestisse di scuro in panchina, convinto che portasse bene: «Ma dalle cravatte alla barba, era scaramantico pure in ufficio», aggiunge Moncini. Visti i presupposti, non poteva che diventare grande a Napoli.
Al Monte Paschi le partitelle erano un rito pagano: Sarri allenatore-giocatore, gli amici bancari telecomandati sul campo. Sulla fascia destra la solita ala con poca voglia di correre: «Mi urlava: “Scatta!”. E a fine partita: “Grei, non avevi mica voglia di sporcarti? Sei più pulito dell’inizio...”. Mi sa che una frase simile l’ha detta a un campione che con lui è tornato a sgobbare». Da Moncini a Higuain, dallo Stia all’Europa League, un salto da vertigine. Il rito è andato avanti a lungo, poi nel 2000 la scelta di diventare promotore, con orari meno rigidi e più tempo per gli allenamenti. Inevitabile, l’anno successivo il part time, quello dopo ancora l’addio al posto fisso: era l’epoca d’oro del Sansovino, Serie D. «Ci aspettavamo lasciasse il lavoro, nessuno dubitava che ce l’avrebbe fatta», aggiungono i due colleghi. Fiorella non lo vede da quindici anni, ma ha conservato un’avvertenza per chi ancora fa lo snob nel mondo chiuso del calcio: «Non è stato un grande giocatore, è vero, ma che importa? Ora, però, gli vorrei dire: “Maurizio, lasciati andare un po’, suvvia …”». L’ala destra un anno fa ha brindato con l’amico a Livorno e ha un sogno tutto viola: «Tifo Fiorentina, magari un giorno torna a casa». Si vede già al Franchi a urlargli da vicino: «Oh Secco, tu l’hai fatto lo schema ?».