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 2015  novembre 06 Venerdì calendario

Lo Ior ancora sotto accusa: nonostante la determinazione di Ratzinger e di Bergoglio, la riforma delle finanze vaticane è sostanzialmente fallita. Le autorità italiane aspettano ancora gli elenchi con i nomi dei correntisti

Soldi, soldi e ancora soldi. E sempre lo Ior, la banca del Vaticano, sotto la lente d’ingrandimento. Perché qualcosa ancora non funziona come dovrebbe. «Avarizia», il libro di Emiliano Fittipaldi costruito sui documenti fuoriusciti dalla Cosea, la commissione di indagine nella quale lavoravano la lobbista Francesca Chaouqui e monsignor Angel Vallejo Balda, entrambi arrestati dalla magistratura vaticana per alto tradimento e furto di documenti, traccia un profilo a luci ed ombre sull’attività finora svolta dal Vaticano per traghettare l’Istituto per le opere di religione in una zona dove la trasparenza sia davvero garantita. Certo, grazie all’input dato da Benedetto XVI e portato avanti con determinazione da Bergoglio, la strada verso Moneyval è stata tracciata, tanto che il rapporto di Bruxelles nel 2012 ammetteva che all’ombra del cupolone i vertici avevano fatto grossi progressi nell’adozione di misure normative per combattere il riciclaggio, anche se la nuova struttura doveva ancora essere testata all’atto pratico. Con il passare del tempo i nodi sono venuti al pettine.
I CONTI SEGRETI
I vertici della banca del Papa e dell’Aif, la nuova Autorità di informazione finanziaria (creata nel 2010 per vigilare sull’Istituto) hanno più volte enfatizzato di avere terminato la pulizia nella lista dei conti correnti anonimi e dei correntisti privi dei requisiti o che non risiedono al di là del Tevere. Dall’inizio del repulisti finora sono stati «chiusi 4614 rapporti», la stragrande maggioranza «dormienti» (inattivi o con saldi molto bassi). Di questo elenco 554 conti sono appartenenti a imprenditori, politici, faccendieri che hanno usato la banca per i loro affari, o per depositare all’estero somme guadagnate in Italia. Nel libro di Fittipaldi la banca viene ancora accusata di scarsa trasparenza, perché dal punto di vista operativo pare non sia cambiato molto. A sollevare dubbi sono soprattutto le Procure italiane e la Banca d’Italia. La domanda ricorrente che ancora non ha avuto alcuna risposta è se questi conti congelati e per ora lasciati in un angolo, sono stati nel frattempo chiusi o se sono stati messi al sicuro nelle casseforti d’Oltretevere. Di certo nessuno sa dove siano finiti i soldi dei vecchi clienti fuoriusciti dal Vaticano. La promessa informale di girare alle autorità italiane la lista di tutti i clienti sospetti, nome e cognome, nascosti allo Ior non è ancora stata mantenuta. Tanto che la Banca d’Italia non ha praticamente avuto modo di analizzare – se non in rarissimi casi – eventuali trasferimenti illeciti o presunte evasioni fiscali, da segnalare poi alla magistratura italiana per possibili indagini penali. «Mentre andiamo in stampa – scrive l’autore – allo Ior galleggiano poco più di cento conti sospetti, tra cui una decina intestati a nomi eccellenti che potrebbero creare più di un disagio a Santa Romana Chiesa. In qualche caso si tratta di eredità di clienti laici ancora da liquidare (a bilancio la somma è messa a 17 milioni), ma altri depositi appartengono a professionisti e imprenditori». Una brutta storia che si ripete. Chi sono? «Questi depositi sono stati bloccati» ha giurato il capo dell’Aif, l’authority vaticana, Bruelhart. All’Uif, però, sono rimasti di sasso quando hanno scoperto – dopo la lettura di un articolo giornalistico dell’agosto 2015 – che «tra i clienti dello Ior ci sono ancora i nipoti del fu commendatore Lorenzo Leone. Un manager della Sanità che ha accumulato 16 miliardi di lire in Vaticano dirigeva (o depredava, come hanno scritto i magistrati di Trani in una inchiesta sull’ospedale) la Casa della Divina Provvidenza di Bisceglie, appartenente a una congregazione religiosa di cui Leone fu legato fino alla sua morte avvenuta nel 1998». Una sorpresa assai sgradita perchè nessuno, dal Vaticano, aveva avvertito le autorità italiane dell’esistenza di quel denaro. Solo quando i pm di Trani hanno spedito una rogatoria, la banca ha confermato il deposito. Non solo. La Banca d’Italia ha scoperto che gli 8 milioni intestati agli eredi erano ancora depositati Oltretevere e che quei conti erano periodicamente movimentati. Altro che congelati. La prova che l’antiriciclaggio vaticano non funziona a dovere.
DUBBI
Che le cose siano molto diverse da come appaiono sembra provarlo anche un’altra vicenda. Un po’ di tempo fa la Procura di Roma ha spedito oltre le mura un’altra rogatoria internazionale, chiedendo conto di eventuali beni posseduti da Angelo Proietti. Un costruttore titolare della società Edil Ars, fornitore storici del Vaticano che ha eseguito decine di lavori e interventi. I Pm sono convinti che parte dei suoi capitali siano depositati allo Ior. La storia dimostra che le informazioni con le autorità italiane avvengono con il contagocce. Morale: «La volontà del Papa di rivoluzionare le abitudini della banca non è in discussione ma che in Vaticano esistano anche forti sacche di resistenza contrarie al mantra della trasparenza assoluta è innegabile. Se il futuro della banca deve essere incorrotto, il passato però pesa ancora come un macigno».