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 2015  novembre 06 Venerdì calendario

Le minispecie, dalla rane lunghe un centimetro a la chiocciola che s’infila nella cruna di un ago

È stato forse il paziente più piccolo mai operato in Italia: un geco australiano Nephrurus levis, lungo tre centimetri e del peso di due grammi, curato presso la Clinica animali esotici di Roma, che di pazienti particolari – leoni, aquile, pitoni e cammelli – ne ha visti tanti. «Quel minuscolo geco arrivava dall’unico allevamento italiano dove viene fatta riprodurre questa specie di grande pregio per i collezionisti di rettili» spiega il veterinario Nicola Di Girolamo. «Il geco era uscito da poco dall’uovo, ma dal suo addome non si era staccato il sacco vitellino, la struttura che alimenta l’embrione, e rischiava di infettarsi. Perciò lo abbiamo addormentato e con un bisturi laser abbiamo rimosso il sacco vitellino. Ora sta benissimo».
Cosi il Nephrurus romano potrà continuare a crescere, ma non di tanto: da adulto arriverà a 10 centimetri. Pochi, certo, ma molti di più di quelli del geco nano di Santo Domingo (Sphaerodactylus ariasae), che si ferma a 1,8 centimetri. Una misura che comunque lo rende un gigante in confronto alle rane individuate nel giugno scorso in Brasile dal biologo Marcio Pie, della Universidade Federal do Paranà: cinque specie di Brachycephalus lunghe solo un centimetro, a un passo dagli otto millimetri della rana Pae- dophryne amanuensis, della Nuova Guineani più piccolo fra i vertebrati. Che però è ancora enorme rispetto alla Angustopila dominikae, una chiocciola terrestre scoperta poche settimane fa in Cina dal biologo ungherese Barna Pàll-Gergely: ingrandita sembra una normale chiocciolina, con la sua bella conchiglia a elica, ma è così miniaturizzata, solo 0,8 millimetri, da passare per la cruna di un ago.
Insomma, esauriti (forse) gli animali più grandi, si va alla scoperta dei più piccoli, arrivando a livelli che sembravano appannaggio dei soli insetti.
Ma che vantaggio hanno queste specie nell’essere minuscole? «Sono vari» spiega Giuseppe Carpaneto, professore di Biodiversità animale all’Università Roma Tre. «Uno può essere sfuggire meglio ai predatori: quando si è piccoli ogni fenditura diventa un rifugio. Certo, tutto dipende poi da quali predatori ti minacciano: se cacciano a vista può servire rimpicciolirsi, ma se usano l’olfatto è decisamente meglio sviluppare una corsa rapida...».
Il problema è che più si riduce il volume del corpo più si perdono in fretta acqua e calore. «Infatti molte di queste specie minuscole vivono nei caldi e umidi Tropici: da noi i vertebrati più piccoli, come il mustiolo etrusco, un toporagno lungo circa 4 centimetri, devono mangiare in continuazione, solo per tenersi caldi. Però essere piccoli ha un altro grande vantaggio: a parità di territorio si possono far vivere più discendenti, anche perché si sfruttano nicchie alimentari trascurate dagli altri animali. È questa la ragione per cui nelle isole, dove spazio e cibo sono limitati, molti animali tendono a diventare più piccoli, come gli elefanti che hanno vissuto in Sicilia fino a circa 10 mila anni fa, grandi come dei San Bernardo».
E le isole non restringono solo gli animali. Lo ha scoperto di recente il genetista Francesco Cucca, dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Cnr. «Analizzando il genoma di 2.120 persone di quattro paesi dell’Ogliastra, in Sardegna, abbiamo identificato due varianti genetiche molto frequenti, che riducono l’altezza di circa 4 e 2 centimetri. È la prima prova che 1’ “effetto dell’isola”, cui si devono le dimensioni ridotte di alcune specie sarde, come i cervi o i cavalli della Giara, vale anche per gli umani».