Il Sole 24 Ore, 6 novembre 2015
Rafforzare i libri e promuovere la trasformazione digitale delle riviste: le nuove sfide di Mondadori illustrate dall’ad Ernesto Mauri
«Due anni fa Mondadori non sarebbe stata in condizione di fare questa operazione». Ernesto Mauri parla dell’acquisizione di Rcs Libri e della strategia che ha portato a scommettere sul business tradizionale per affrontare la sfida dello «tsunami digitale».
«Nel 2008 – ricorda l’amministratore delegato di Mondadori – i periodici contribuivano al 55% dei ricavi di gruppo e al 70% dell’Ebitda. Poi, appunto, è arrivato lo tsunami digitale e se in cinque anni il tuo mercato di riferimento ti si dimezza allora il problema diventa la sopravvivenza».
Dunque?
Prima di tutto abbiamo dovuto rimettere i conti a posto, partendo proprio dai periodici. Abbiamo ristrutturato, chiuso e venduto, ma salvaguardato le testate principali. E abbiamo portato Mondadori pubblicità in Mediamond, 50% nostra e 50% Publitalia, che come concessionaria prima trattava solo il web, allargando così a stampa e radio. Abbiamo ceduto la radio, il 50% di Harlequin Mondadori e stiamo completando la vendita della sede di Roma, concentrandoci sul core business di libri e riviste.
Risultato?
Siamo tornati in utile, abbiamo ridotto l’indebitamento di 130 milioni in due anni e questo ci ha consentito di poter reinvestire nel business dove abbiamo la redditività maggiore. Certo, oggi c’è Amazon. Ma proprio per questo, per poter affrontare i colossi nuovi, occorre rafforzarsi sul proprio mercato domestico.
Se ci credete, perché allora avete finanziato l’operazione tutta a debito?
Abbiamo 550 milioni di linee di credito, tutta la capienza per fare questo investimento che è compatibile con le nostre forze, in un periodo in cui il denaro è a buon mercato.
Sì, ma i tassi potrebbero iniziare a risalire. E se tutto non dovesse andare come previsto…
Stiamo parlando di 127,5 milioni – il 23% della nostra capacità di credito – che ci siamo premurati comunque di autofinanziare al 50% vendendo attività non core. Per fine anno abbiamo un convenant in termini di net debt/Ebitda di 3,5 volte, ma scenderemo sotto 3. Nei primi nove mesi di quest’anno abbiamo aumentato l’Ebitda del 21,3% a 48,8 milioni, realizzando 6,6 milioni di utili. E, soprattutto, abbiamo riportato sette trimestri consecutivi di risultati in miglioramento. La salute di un’azienda si vede da questo: 83 milioni di generazione di cassa, di cui 60 dal business.
Diceva che nei libri avete i margini più alti. Può essere più preciso?
Nei libri il nostro margine Ebitda è del 13,5%, nei periodici è del 5-6%. La redditività attuale di Rcs libri è intorno al 6,5%.
Come mai la redditività di Rcs libri è meno della metà della vostra? Qual è il problema?
Fondamentali sono le dimensioni: il leader, ovunque, è quello che guadagna di più perché può far leva sulle economie di scala. Ma se va in crisi il leader, va in crisi tutto il mercato: Mondadori cinque anni fa aveva una quota di mercato del 31%, adesso è scesa al 25%, e il mercato è andato male.
Solo questione di dimensioni?
Per Mondadori i libri e le librerie sono strategici e importanti, in un altro contesto rischiano magari di essere trascurati.
Lei pensa di potere allineare la redditività di Rcs Libri alla vostra?
Sono sicuro che renderà più del 6,5%. Anche la nostra redditività si può ancora migliorare.
Per l’acquisizione è in corso l’esame dell’Antitrust, cosa vi aspettate?
Mi aspetto e auspico un intervento a favore del mercato. Noi in questo mercato ci dobbiamo stare per svilupparlo. Quattro anni fa avevamo già il 31% nel trade: abbiamo fatto qualcosa contro il mercato? E cosa cambia se con Rcs arriviamo al 35%? Se riusciamo ad arginare il calo del mercato va bene per noi, ma va bene per tutti. Il 52% degli italiani non legge neanche un libro: questo deve preoccuparci, non qualche punto in più o in meno di quota di mercato.
Tempi?
Consideriamo ragionevole avere una risposta dall’Antitrust e poter concludere a fine gennaio, inizio febbraio.
Siete stati voi ad avvicinare Rcs o è stato il contrario?
Prima di guardare a Rcs Libri avevamo altre trattative in corso. Quando abbiamo capito che c’era un’opportunità, ci siamo fatti avanti anche se la cessione della Libri non era nei programmi di Rcs. Poi ad aprile c’è stato il cambio di consiglio e tutto, di conseguenza, è rallentato.
Insomma, era almeno da un anno che si stava ragionando su questa operazione. Possibile che non abbiate avuto tempo di sondare l’Antitrust?
Le pare che non sarebbe stato nostro interesse farlo? Ma non si può inoltrare una prenotifica unilaterale quando si tratta di due società quotate.
Quindi, Rcs non aveva voluto forse perché non era così sicura di completare il deal. Ma voi vi siete ugualmente assunti il rischio antitrust.
A un certo punto, abbiamo capito che per chiudere dovevamo assumerci questo rischio. Per noi si tratta di un transformational deal. Significa spostare il core business su un’attività meno incerta dei periodici, con un iniziale 55% del fatturato e 60% dell’Ebitda. Questo ci consentirà di generare ulteriori risorse per la trasformazione dei periodici che per noi significano 600 milioni di fatturato.
E quali sono i programmi per i magazine?
Anche lì dobbiamo trovare una soluzione: stiamo lavorando con una società di consulenza per individuare un percorso che funzioni. Ci sono modelli vincenti sia negli Usa che in Europa. Per esempio negli Usa Meredith, che ha sviluppato verticali e servizi marketing collaterali, ha tra le donne americane cento milioni di contatti. Se vuoi arrivare alle donne americane da Meredith non puoi prescindere. I lettori si spostano verso device che sono diversi dalla carta, ma l’audience è aumentata: Donna moderna con la carta dopo trent’anni ha 2 milioni di lettori, sull’online dopo due anni ne ha 5. Il problema è monetizzare i contatti con la proposizione di nuove offerte di contenuti e servizi.
E acquisizioni nel campo del digitale?
Axel Springer solo in Francia con due operazioni ha speso quasi un miliardo. Per fare diversificazione non abbiamo le risorse finanziarie, ma certamente le abbiamo per sviluppare i nostri brand. Mondadori può vincere la sfida rafforzandosi nei libri e promuovendo la trasformazione digitale dei periodici, perché carta e pubblicità sui mezzi tradizionali continueranno a calare.
Qualcuno dice che in realtà tutto ciò serva per vendere meglio un domani a qualche colosso estero.
Non c’è la minima intenzione di farlo. Più un’azienda va bene, più va bene per tutti. Certo è più facile vendere un’azienda che va bene, ma non è che per non essere venduti, allora bisogna andar male! Una Mondadori sana che ritorna a fare utili è nell’interesse degli azionisti, del mercato e del Paese.