Sette, 6 novembre 2015
Un tavolo da ventimila miliardi di dollari. Fubini a cena con i rappresentanti di alcuni dei fondi di investimento più influenti al mondo, in visita di studio di un paio di giorni per verificare se la Renzinomics
Era uno dei migliori ristoranti di Roma, in una delle piazze più belle, e avevano prenotato una saletta riservata. Le poltroncine di pelle erano eleganti, l’antipasto delizioso. Tutto doveva svolgersi nel migliore dei modi, perché attorno al tavolo sedevano ventimila miliardi di dollari: quasi dieci volte il debito pubblico dell’Italia, oltre dodici anni di reddito nazionale del Paese. In tutto erano una ventina di persone, non di più. I rappresentanti di alcuni dei fondi di investimento o delle istituzioni finanziarie più influenti al mondo, in visita di studio di un paio di giorni per verificare se la Renzinomics – la svolta all’economia impressa da un primo ministro di 40 anni – è davvero una storia convincente come sembra quando la racconta il suo protagonista. Questi venti grandi investitori volevano capire se ci devono credere nell’immediato, se potranno continuare a crederci tra due anni e poi anche tra cinque. Se devono raccomandare alle loro case madri di puntare una parte del loro denaro su questa storia italiana, e con quali orizzonti. Mi hanno chiesto cosa pensavo delle riforme istituzionali, del quadro politico, delle tendenze dell’economia. Di solito cerco di evitare questi inviti. Non ho pregiudizi ma ascoltare gli altri che dicono la propria, vedere come si muovono mentre parlano, capire cosa pensano e perché, lo trovo più utile. Meglio risparmiare le forze per poter assorbire le conoscenze dagli altri, che assordarli con quelle che oggi pensiamo essere le nostre «idee» e domani forse avremo già dimenticato. Questa volta ho accettato perché c’era da imparare dal tenore delle domande e dalle conclusioni che gli investitori avrebbero tratto dalle mie risposte. Intorno al tavolo, silenziosi, disciplinati, spesso modesti nell’attitudine, sedevano gli stessi tipi umani che solo tre anni fa avevano spinto l’Italia a un soffio da una catastrofe finanziaria. Non lo avevano fatto per arroganza, solo per profonda sfiducia. Questa volta, seduti al ristorante, avevano soprattutto due prevedibilissime curiosità: volevano sapere se la nuova legge elettorale e la riforma del Senato avrebbero prodotto davvero più stabilità politica; e, con una punta mal dissimulata di scetticismo, chiedevano se le famose riforme economiche di Renzi sono reali oppure superficiali. Sul primo punto ho confermato: ci dovrebbe essere più stabilità politica che in passato (obiettivo peraltro non impossibile); sul secondo mi sono rifugiato in una vecchia tecnica da economisti: le cosiddette risposte «on-the-one-hand, on-the-other-hand», considerate un lato della medaglia e poi però anche l’altro.
ECCELLENZE E FRAGILITÀ. Quando avevo già parlato per quindici minuti e sono stati serviti in tavola profumatissimi ravioli di zucca, ho fatto per alzare la forchetta. Un giovane indiano cresciuto in Europa e basato a Londra però ha alzato la mano, aveva un’altra domanda. Voleva sapere qual è la grande storia produttiva italiana del futuro, il nuovo settore nel quale il Paese sta costruendo oggi le sue fortune fra dieci anni. «Qual è la vostra Silicon Valley?». Ne è seguito un silenzio. Quaranta occhi erano puntati su di me. Ho cercato di dire qualcosa sugli alimentari di marca che entrano a far parte del settore del lusso. Sulla moda e il design che continueranno a tirare perché in futuro la Cina punterà più sui consumi delle famiglie che sugli investimenti. Sull’export farmaceutico che cresce. Sulla meccanica che alimenta ancora le produzioni tedesche, benché in frenata. Sono tutti bei settori in effetti, eccellenze nazionali. Ma bastano come progetto-Paese per i prossimi dieci anni? La Harvard Business Review classifica l’Italia fra i Paesi a modesto livello di avanzamento tecnologico e a modesto ritmo di progresso su questo fronte. Poi per fortuna qualcuno mi ha fatto presente che i miei profumatissimi ravioli si stavano raffreddando.