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 2015  novembre 06 Venerdì calendario

I vecchi e le vecchie divorziano sempre di più. Dolori per chi deve lasciare l’appartamento, gioie per chi ha più vita sociale

«È come cadere – racconta Lia – a 30 anni ti rialzi subito, a sessanta hai bisogno delle stampelle. Ma quando torni a camminare la vita ha una nuova luce. Per me, almeno, è stato così». Lia, quasi settant’anni, un matrimonio finito e una “second life” tutta da scrivere. Sono tante, e tanti, sempre di più: hanno alle spalle famiglie tradizionali, figli già grandi, a volte nipoti, eppure voltano pagina, spesso nello stupore dell’intero clan parentale. Si chiamano, citando il libro famoso di Abraham Yehoshua “divorzi tardivi”, vogliono dire che l’amore naufraga alle soglie della terza età, over sessanta e via salendo, fino a 15 anni fa erano briciole nella statistica, oggi sono il 12,8% di tutte le separazioni maschili e il 7,5% di quelle femminili. “Grey divorce” è il nome americano, dietro c’è un universo che mette insieme l’allungamento della vita media, la caduta (in Italia) di tabù e vincoli arcaici, ma soprattutto la voglia di non arrendersi a una vita coniugale spenta, al desiderio che non c’è più, all’andare avanti perché l’abitudine è una sofferenza ben conosciuta.
Se si lasciano i giovani, perché dovrebbe essere scandaloso lasciarsi da vecchi? E cercare, magari, nuove passioni, nuove emozioni del corpo, come sempre più spesso racconta il cinema, che nel filone “grey” romantico ha trovato nuova linfa. Mentre Erica Jong, settantatre anni, ha appena pubblicato “Paura di morire”, dove descrive il desiderio della sessualità delle donne grandi. Esattamente a 42 anni di distanza da “Paura di volare”, il suo long seller da 27 milioni di copie che squarciò il velo sull’eros femminile. «Il sesso nella terza età è tuttora uno scandalo – ha spiegato Erica Jong – ma quello delle donne lo è di più...». Racconta, ancora, Lia Belletti, ex funzionaria di banca, un addio soffertissimo alle spalle: «Poi ho scoperto che si chiama sindrome del nido vuoto. È accaduto quando i miei figli se ne sono andati, sono diventati autonomi presto, e io e Bruno ci siamo dovuti guardare dentro, confrontare nel silenzio, in una casa deserta. La verità? Non avevamo più niente da dirci, lui mi tradiva da chissà quanto, ma in fondo non avevo mai avuto tempo di occuparmene. Eppure ho penato cinque anni, lui non se ne voleva andare...». Basta guardare i dati per capire quale rivoluzione sociale sia in atto, pur sottolineando che lasciarsi è sempre un dolore. Se nel 2000 gli abbandoni over sessanta riguardavano il 5,9% dei mariti e il 3,6% delle mogli, già nel 2005 il dato era del 7,3% e del 4,7%, fino ad oggi, con il 12,8% e l’8,6% per le donne.
Daniele Vignali è professore associato di Demografia all’università di Firenze. Ha scritto per il Mulino, “Convivere o sposarsi”, dettagliata analisi sui cambiamenti del matrimonio in Italia. «I divorzi tardivi sono la diretta conseguenza di un cambiamento biologico e sociale. Oggi le donne vivono in media 85 anni e gli uomini 80. Quindi se ci si lascia a 60 anni si ha la buona probabilità di potersi ricostruire una vita. L’altro elemento è culturale. Molte di queste coppie si sono sposate quando ancora il divorzio non c’era, ma oggi si trovano a vivere in un mondo dove l’instabilità coniugale è una realtà, che riguarda i loro stessi figli. È un dato sociale accettato. Dunque due anziani che si lasciano non sono più uno scaldalo».
In realtà non sono pochi i figli di queste coppie ad ammettere di aver avuto un vero e proprio trauma quando i genitori, alle soglie della vecchiaia, hanno divorziato. Lia racconta: «Mia figlia mi disse candidamente: mi fa impressione, per me eravate una cosa sola, i miei genitori, come se foste inscindibili...». Invece no. Anzi, dopo un divorzio tardivo (fenomeno in aumento esattamente quanto il suo opposto, ossia quello dei divorzi acerbi, dopo pochissimi anni di matrimonio), gli scenari sono i più diversi. «È sempre più alto il numero degli uomini che si risposano rispetto alle loro ex, ma cresce l’esercito dei “Lat”». Sigla che vuol dire “living apart togheter”, si sta insieme cioè ma in due case diverse e senza convivere. «Siamo di fronte ad un cambiamento del costume», aggiunge Vignali, «di certo decidere di rivoluzionare la vita da anziani vuol dire che si ha una grande speranza nel cuore, ma non dobbiamo dimenticare il prezzo dei divorzi, ossia l’impoverimento globale della coppia, in particolare per il coniuge che deve lasciare l’appartamento».
A sentire chi però di terza età si occupa, dietro questi addii tardivi, più della sconfitta di un amore c’è una grande voglia di vita. Giusy Colmo è la portavoce del’Auser nazionale, associazione di volontariato e promozione sociale nata nel 1989 dai pensionati della Cgil. Oggi ha 305mila iscritti e 1500 sedi in tutta Italia. Dunque un osservatorio privilegiato sull’attivissimo mondo “over”, ultrasessantenni che fanno volontariato, guidano ambulanze, organizzano eventi sociali. «Nel 2012 – dice Giusy Colmo – abbiamo fatto una ricerca tra le donne dei nostri circoli, per capire appunto come stessero vivendo questa fase della loro esistenza. Abbiamo trovato in molte vedove o divorziate una grande energia positiva, la voglia di guardarsi intorno, la disponibilità anche a parlare di argomenti delicati come la sessualità. Non si sentono vittime passive. Ed è frequente – aggiunge Giusy – che si creino nuove coppie. O che magari invece qualcuna ne “scoppi”». Non bisogna dimenticare però che con l’allungamento della vita, spesso accade che una pensionata di 65 anni «abbia dei figli di trent’anni e magari una madre di novanta, di cui doversi occupare a tempo pieno». La famosa condizione “sandwich”.
Ma chi vince e chi perde in questi matrimoni che franano? Se è vero che i mariti si risposano più facilmente, è anche vero che molte donne, liberatesi di un rapporto stanco, riescano a rifiorire, non solo in una nuova coppia ma anche da sole. Lo spiega infatti Viviana Langher, docente di Psicologia clinica all’università La Sapienza di Roma e consigliere dell’Ordine degli Psicologi del Lazio. «La vita che si allunga è un dono che apre fantasie e desideri, e la Scienza spesso è un alleato di questi sogni, se pensiamo ad esempio ai farmaci per la sessualità». E se fino a qualche anno fa erano le donne a pagare il prezzo più alto nelle separazioni, sia mature che tardive, oggi non è più così. «Soccombe chi ha meno relazioni sociali. Quando non si è più in due il rischio è l’isolamento sociale. L’essere coppia è una corazza sociale... Ma da quello che vedo, anche nei nostri gruppi, è grande negli anziani la voglia di non arrendersi, e di trovare comunque, nonostante il divorzio o la vedovanza, una strada di autorealizzazione». Conclude con un sorriso Lia Belletti: «Sono rimasta sola. Sì, forse avrei potuto risposarmi, ne ho avuto l’occasione. Ma non ne potevo più. E ho ritrovato le amiche del liceo. Viaggiamo, andiamo alle mostre, ci divertiamo. È fantastico, è come essere tornate ragazze...».