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 2015  novembre 06 Venerdì calendario

Muti all’attacco rievocando Toscanini: i direttori di oggi sono improvvisati, i cantanti non studiano... Forse tornerà davvero alla Scala

MILANO Ci voleva Toscanini per far tornare Riccardo Muti a Milano. Occasione l’inaugurazione dell’esposizione permanente al Conservatorio di oggetti e ricordi del grande maestro, simbolo indiscusso della Scala. Un tesoro salvato e donato alla città grazie a un comitato di privati guidato proprio da Muti. Che di tasca sua ha voluto offrire il pezzo più simbolico, il frac di Toscanini. Per Muti, dopo il tempestoso addio alla Scala del 2005, un rientro festoso in una delle principali istituzioni milanesi, là dove oltre mezzo secolo fa  aveva studiato composizione con Bruno Bettinelli e direzione d’orchestra con Antonino Votto. «Milano e il Conservatorio sono due elementi fondanti della mia attività artistica» ricorda il maestro, arrivato insieme con il sovrintendente Alexander Pereira. Che da tempo lo corteggia per riportarlo alla Scala.
Su questo punto i due non si sbilanciano ma ammiccano. «Un concerto non basta certo per un nome come il suo», si lascia sfuggire Pereira. E Muti, un po’ sornione, su un suo prossimo ritorno ci scherza su citando il Padre Guardiano de La forza del destino: «Chi può legger nel futuro?». Ma a guardar bene nella sfera di cristallo, sembra proprio che un’opera alla Scala lo stia aspettando. Forse un titolo della trilogia Mozart-Da Ponte? O di quel repertorio napoletano a lui tanto caro? Chissà.
Intanto la conversazione su Toscanini dà spunto al maestro per qualche frecciatina. Per esempio sulla moda di invitare nei teatri, anche nei più prestigiosi, direttori «improvvisati». «Toscanini, diplomato in violino, pianoforte, composizione, ci insegna che bisogna avere una grande formazione musicale prima di alzare il braccio. Una lezione purtroppo dimenticata. Oggi i direttori spuntano come funghi. Quando un cantante non ha più voce, un flautista non ha più fiato, ecco che prende in mano la bacchetta. Eppure la mancanza di preparazione è uno dei grandi problemi dei teatri oggi. Vero Alexander?» chiede a Pereira, che abbozza un sorriso un po’ tirato.
«Non basta – incalza Muti —, i cantanti si lamentano di non ricevere più dal direttore le indicazioni necessarie. La prima vera traccia di regia è musicale, mentre ora si affida tutto a qualche imbecille che stravolge il libretto e inventa una storiaccia infame, declassando la musica a colonna sonora». Ogni riferimento a allestimenti stravaganti non è casuale.
Ma anche sulla preparazione dei cantanti ha da ridire. E Toscanini è di nuovo la pietra di paragone. «Per il Falstaff aveva in mente un giovane baritono, Mariano Stabile. Chiamò Votto: “Preparamelo per sei mesi poi portamelo a casa mia, in via Durini, per l’audizione”. Così avvenne, e Toscanini confermò la sua idea che quella era la giusta voce. “Lavori ancora sei mesi con il maestro Votto e poi ci vediamo a teatro”, gli disse congedandolo. Oggi con la musica si corre, allora si scavava. E questo era un tratto distintivo della nostra scuola italiana. Che era grande proprio per la profondità di lettura e l’accuratezza nei dettagli».
Rigore e inflessibilità, come voleva Toscanini. «La vera italianità è questa, non l’approssimazione o il dilettantismo. La musica non ha confini, ma le radici sono fondamentali. Non dobbiamo mai scordarcele».
Infine, il fantasma del frac batte un colpo. «È vero, ci fa sentire un po’ pinguini ma è la nostra tenuta da lavoro. Ci ricorda che la forma è contenuto e l’abito fa il monaco. Quel frac di Toscanini è importante perché lì dentro ogni sera lui racchiudeva il suo corpo. Quel panno nero, quello sparato bianco, quella fascia che ti stringe la vita e ti impaccia un po’, sono intrisi dal suo sudore, dalla sua passione, dalle sue ire furibonde. Trasmettono emozioni e evocano ricordi. Mai oserei indossarlo... Ma il frac sta sparendo. I nuovi direttori non lo usano più, ormai salgono sul podio in tutti i modi, persino vestiti da pellerossa, con borchie e stivaletti… I tempi sono cambiati, forse il frac è obsoleto. Ma il decoro no. Sia per il maestro sia per il pubblico. Non è una stoccata a te, Alexander» ride alludendo alle recenti maglie larghe scaligere in fatto di abbigliamento. «Il fatto è – conclude serio – che il rispetto reciproco passa anche dal vestito».