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 2015  novembre 06 Venerdì calendario

Un po’ di ripresa confermata anche da Bruxelles perché le famiglie, che sono a stecchetto da anni, sono tornate un minimo nei negozi

Crescita moderata. L’Europa la pensa così, ora, sull’Italia. E, come l’Istat, rivede al rialzo le previsioni: +0,9% invece di 0,6 (0,7 per l’Istat). Pur in un quadro di rischi di ribasso.
Le famiglie italiane si affacciano a questo autunno di ripresa dopo una traversata del deserto che dice tutto di loro e delle contraddizioni del Paese. In sette anni si sono imposte un’austerità spietata, mentre altre parti del sistema hanno continuato ad autoassolversi. Dal 2007 le famiglie hanno tagliato 76 miliardi di spesa, mentre lo Stato solo 7,5 (stima dell’Ocse di Parigi, al netto dell’inflazione). Le famiglie hanno ridotto di venti miliardi le spese in beni alimentari, eppure per le bollette dell’acqua devono pagare più oggi che otto anni fa pur consumando di meno. In Italia c’è chi tira la cinghia e chi continua a godersi le proprie nicchie di rendita, specie se a partecipazione municipale.
È questo il Paese bifronte e incompiuto che emerge in fase di fragile guarigione dall’esame di Bruxelles di ieri. Basta fare il confronto con le stime pubblicate dalla Commissione europea solo sei mesi fa. Per quest’anno, per l’anno prossimo oppure su entrambi, adesso vengono riviste al ribasso le previsioni di crescita di Belgio, Germania, Francia, Austria, Finlandia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Giappone, però quelle dell’Italia sono corrette al rialzo. Ora non sono molto diverse da quelle del governo, a conferma che a Bruxelles la voglia di litigare sull’attuale legge di Stabilità fatta in deficit è ben poca.
Anche così, a credere ai numeri, nel 2015 questo Paese procede a ritmo dimezzato rispetto alla media dell’area euro. E anche quando nel 2016 dovrebbe accelerare con un’espansione dell’1,5%, resterà indietro sul resto del club. Non che la fotografia dell’Italia presa da Bruxelles sia semplicemente un panorama di rovine, al contrario. Dopo anni di sacrifici – quasi tre miliardi tagliati in spesa sanitaria, otto in acquisti di abiti e scarpe – è chiaro che le famiglie hanno voglia di riprendersi parte del maltolto. Stanno tornando nei negozi. La Commissione rivede al rialzo le stime sui consumi grazie all’inflazione zero e ai tassi bassi, all’occupazione che migliora un po’ e ai tagli delle tasse sui redditi medio-bassi o sulla prima casa. Così dopo un quinquennio di crolli, le importazioni di beni e servizi dall’estero balzano addirittura del 5% quest’anno e di poco meno il prossimo, corrono più dell’export e infatti il surplus commerciale del Paese sul resto del mondo si erode.
Forse non c’era scelta. In termini reali – tolta l’inflazione – il fatturato dell’export italiano sta tornando ai livelli di otto anni fa solo adesso. Ma una ripresa alla tedesca, trainata dal recupero mercati esteri, probabilmente oggi non è più un’opzione disponibile: i grandi clienti del made in Italy – nell’ordine la Germania, la Francia, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Svizzera e la Spagna – sono quasi tutti in decelerazione. La maggiore delusione oggi per gli esportatori italiani non è la Cina ma l’America, un cliente da 35 miliardi di euro di fatturato annuo in motori, valvole, vini o occhiali. Quanto alla Germania, un mercato da 60 miliardi di euro, non è più senza problemi; e resta da misurare l’impatto dello scandalo Volkswagen sulle imprese dell’indotto distribuite fra Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna.
Se avesse cercato solo la via dei mercati esteri, forse l’Italia oggi non avrebbe una ripresa. Ma ci sono anche stime sul Paese che la Commissione ieri ha rivisto ancora una volta in peggio: riguardano un fattore vitale come la produttività, la capacità di creare in fabbrica o in ufficio più valore in meno tempo. Perché questa per ora è la ripresa delle famiglie. Ma se la produttività del sistema non riparte, da sole non potranno portarla sulle loro fragili gambe ancora a lungo.