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 2015  novembre 05 Giovedì calendario

Ritratto di Carlo Messina, l’uomo che da due anni guida (bene) Intesa Sanpaolo

Quando, alla fine di settembre di due anni fa, ha preso il timone di Intesa Sanpaolo, la principale banca italiana, Carlo Messina aveva di fronte un compito niente affatto facile: gestire un colosso del credito nel bel mezzo della più profonda crisi economica della storia moderna, una crisi che ha radicalmente cambiato anche il modo di fare banca e di essere banchieri.
Messina, romano, classe 1962, riservato e poco incline ad apparire, ciuffo sul lato destro della fronte, ha preso la sfida di petto portando in banca uno stile di gestione innovativo che, lo dicono i numeri, finora si è rivelato vincente ed è stato evidentemente apprezzato dal mercato, dal momento che Intesa Sanpaolo è diventato il titolo più capitalizzato di Piazza Affari (54 miliardi comprese le azioni di risparmio), togliendo lo scettro a Eni. Se si pensa che nell’autunno 2013 Intesa valeva, secondo i prezzi di borsa, 26 miliardi, si comprende perché Messina rivendichi con orgoglio lo status di «banca più forte d’Europa con un plafond di liquidità superiore a tutti». In partenza poteva contare su una profonda conoscenza del settore (è docente di Economia degli Intermediari finanziari nell’Mba della Luiss e di Finanza aziendale all’Università di Ancona) e della banca che andava a dirigere, avendone seguito e accompagnato l’espansione e lo sviluppo per quasi vent’anni. L’ingresso di Messina nel gruppo risale infatti al 1995, quando l’istituto ancora si chiamava Banco Ambrosiano Veneto, e la nomina a Ceo è arrivata al culmine di una carriera interna quasi ventennale nel corso della quale aveva ricoperto più ruoli, da responsabile della pianificazione a capo del servizio pianificazione e studi, da responsabile direzione controllo direzionale a responsabile direzione risk management, da direttore finanziario e direttore generale con la responsabilità della divisione Banca dei Territori, cuore del retail di Intesa.
Fondamentale, almeno all’inizio, è stato l’appoggio del presidente del consiglio di sorveglianza, Giovanni Bazoli, che conosce e apprezza Messina fin dai tempi dell’Ambrosiano, e importante è stato anche l’endorsement dei colleghi che gli hanno riconosciuto fin da subito le capacità di guidare una macchina così complessa. Il contributo più significativo gli è arrivato, com’è anche naturale, dal direttore generale vicario e capo della divisione corporate Gaetano Miccichè. I due sono straordinariamente complementari perché, nello stile del nuovo banchiere, Messina ama l’ombra; Miccichè è invece il banchiere estroverso che incontra continuamente clienti e imprenditori.
Messina, poi, ci ha messo del suo, con decisioni anche coraggiose, che hanno cambiato il Dna di una banca, prima considerata di sistema, che significa sostegno ma a volte anche stampella alle grandi aziende («venderemo le partecipazioni non strategiche e ci concentreremo sullo sviluppo del business bancario», è stata una delle prime dichiarazioni da capo azienda: promessa mantenuta con la cessione della quota in Pirelli e lo scioglimento del veicolo di controllo di Telecom, Telco, che rende possibile dismettere il pacchetto) e che oggi si candida a essere uno dei motori della ripartenza italiana. «Nel 2014 abbiamo erogato credito per 27 miliardi e, per il 2015, la previsione della banca è di 37 miliardi». Del resto, Messina è stato tra i primi a intravedere i segnali di inversione del ciclo economico. Già nel febbraio scorso aveva parlato apertamente di uscita del paese dalla recessione: «Sono fiducioso per l’evoluzione economica dell’Italia, siamo completamente fuori da questi diffìcili anni. E anche il mercato immobiliare sta recuperando, in particolare per quanto riguarda i mutui». Previsione avverata. E poco prima dell’estate ha rincarato la dose: «Il 2015 è un anno unico per l’Italia e per le aziende del nostro paese. Ci sono una serie di opportunità che devono essere colte per poter finalmente tornare a crescere e le banche, in questo senso, possono davvero giocare un ruolo fondamentale. Proprio perché si tratta di un anno unico, abbiamo deciso di accelerare sull’accesso al credito». Certo, i rubinetti delle banche non sono ancora del tutto aperti e per ora si può solo parlare di uno stop al calo degli impieghi che vengono concessi con grande parsimonia, ma va detto che gli istituti di credito sono schiacciati tra l’incudine dell’occhiuta e a volte invadente Vigilanza della Banca centrale europea sui requisiti di capitale e il martello rappresentato dall’eredità di otto anni di crisi continua. «Il problema non sono tanto le sofferenze, irrecuperabili, ma i crediti incagliati. Bisogna lavorare perché questi tornino in bonis e non diventino sofferenze», sostiene Messina. E su questo fronte c’è ancora da lavorare.
La determinazione e il coraggio del banchiere sono poi emersi in modo chiaro nel piano industriale 2014-2017, licenziato alla fine di marzo dello scorso anno subito dopo la chiusura di un bilancio 2013 caratterizzato da una maxi-pulizia, svalutazioni e rettifiche su crediti che avevano portato a un rosso di 4,5 miliardi.
Messina ha deciso di prendere subito il toro per le corna e fissare gli obiettivi strategici cui tendere con priorità assoluta per arrivare ai 4,5 miliardi di profitti a fine piano. Per il suo capo, Intesa deve essere una banca dell’economia reale, leader nel retail, corporate e nelle attività ad alto valore aggiunto (private banking, asset management e assicurazioni), sostegno all’estero per le imprese italiane, con un modello divisionale che ha il suo cuore nella Banca dei Territori e capace di remunerare gli azionisti con un dividendo in costante crescita. I primi risultati sono stati anche superiori alle attese del budget: 1,25 miliardi di utili alla fine del 2014. Risultato addirittura superato nel primo semestre di quest’anno, il migliore della storia di Intesa: 2 miliardi di profitti che corrispondono all’ammontare delle cedole previste per l’intero esercizio.
Altra caratteristica del numero uno di Intesa Sanpaolo è la grande attenzione ai giovani del gruppo che gli è valso il Premio Guido Carli come miglior banchiere dell’anno ai Global Awards di MF-Milano Finanza proprio per aver avuto il coraggio e la capacità di ringiovanire la banca in maniera profonda: sono infatti usciti dal gruppo 170 dirigenti, molti dei quali in possesso dei requisiti pensionistici, e l’età media del management di primo e secondo livello si è abbassata. «Intesa Sanpaolo dispone oggi di un piano d’impresa portato avanti da l00mila persone della banca. Ognuna si è fatta carico di un pezzetto di questo piano e lo sta realizzando trimestre dopo trimestre, il che è molto apprezzato dagli investitori internazionali», ha detto in occasione della consegna del premio.
Ora Messina è atteso da una nuova sfida rappresentata dal sistema di governo monistico (unico cda, cui competono le funzioni di gestione e di supervisione strategica, nonché quelle di controllo) che sostituirà il sistema duale (consiglio di sorveglianza e consiglio di gestione) che ha retto la banca in questi anni. Si tratta di un sistema che attribuisce maggiori responsabilità al consigliere delegato, unico manager a sedere all’interno del board. E, per la prima volta, Intesa Sanpaolo camminerà senza avere in prima fila il suo creatore e la sua anima, il professor Bazoli, che diventa presidente emerito. Messina è pronto a raccogliere anche questa sfida. Lavorando duro e sempre lontano dai riflettori.