Panorama, 5 novembre 2015
Benvenuti ad Albettone, il paese dove sindaco e cittadini hanno impugnato le pistole e i furti sono crollati
Non impiccano i ladri di cavalli solo perché non hanno i cavalli. Per il resto Albettone, borgo vicentino con poco più di duemila anime, sembra uscito da un film spaghetti western. Non ci sono i cespugli secchi che rotolano per le strade, ma quasi ogni famiglia possiede un’arma da fuoco. In paese, a fare il nome di Francesco Sicignano, il pensionato di Vaprio d’Adda che il 20 ottobre scorso ha sorpreso in casa e ucciso a colpi di pistola un ladro albanese di 22 anni, non c’è il rischio di ascoltare dibattiti o commenti discordanti. Per tutti quel pensionato «ha fatto bene». E si spera che anche il Veneto vari una legge come quella approvata in estate dalla Regione Lombardia, che prevede la copertura delle spese legali per i cittadini accusati di eccesso colposo di legittima difesa.
Adagiato sui colli Euganei, in provincia di Vicenza, nel Veneto ricco pur se colpito dalla crisi, il Comune di Albettone rappresenta un’anomalia tra i paesi vicini. Furti e rapine sono ovunque all’ordine del giorno tranne che qui, dove il passa-parola è evidentemente circolato tra le bande criminali attive nella zona: attenti, ad Albettone c’è chi spara. Ed evidentemente è bastato, perché, anche se i carabinieri non vogliono fornire alcuna statistica, è un dato di fatto che furti e rapine siano in drastico calo. A diffondere il messaggio, ovunque si presenti l’occasione, anche sui giornali e in televisione, è il primo cittadino Joe Formaggio: sindaco al secondo mandato plebiscitario e praticamente senza opposizione in consiglio comunale.
La sua filosofia è tanto semplice quanto brutale: «Se un ladro mi entra in casa io gli sparo e si ritrova le cervella dentro le scarpe». A quanto pare i ladri si tengono alla larga, tanto che di sparare non c’è nemmeno bisogno. Così la pistola se la stanno comprando tutti e il poligono di zona conta più iscritti che residenti. Come Massimo Boggian, 42 anni, titolare di una florida azienda agricola, frutto di generazioni di duro lavoro. Boggian è uno di quelli che ad Albettone ha affisso il cartello: «Attenti al padrone», con tanto di pistola stilizzata. «Io mi alleno al poligono ogni fine settimana» racconta, mentre mostra orgoglioso una 357 magnum: «Ho deciso di comprarmi la pistola due anni fa, quando ho visto che tutti i miei vicini avevano subito furti di trattori e attrezzature agricole. Ora mia moglie è più tranquilla. Io difendo ciò che è mio e la mia famiglia e spero che passi il messaggio: “Se vieni in casa mia sai quel che ti aspetta”».
Perché in questa ricca terra, metà agricola e metà industriale, il lavoro è sacro e così la proprietà privata. E, come per i pionieri del vecchio West, da difendere non sono soltanto l’incolumità personale o quella dei propri cari, ma anche i beni che si possiedono, perché guadagnati con fatica. Roberto Lotto, autotrasportatore, sta spesso via per lavoro, e anche lui ha affisso un cartello minaccioso sul cancello della villetta. Accoglie gli sconosciuti (e il cronista) imbracciando uno dei suoi fucili da caccia, ma poi spiega sereno: «Qui siamo tranquilli, sembra che come deterrente funzioni, molto meglio delle telecamere di sorveglianza. Noi non vogliamo sparare, è l’ultima risorsa possibile. Però la proprietà è intoccabile, e quando qualcuno la minaccia fai quello che è opportuno, come negli Stati Uniti. Noi lo intendiamo come funzione deterrente, ma se siamo obbligati a usare le armi lo faremo».
In realtà, anche se ogni abitante sembra avere la stella di sceriffo appuntata sul petto, Albettone non è un paese di giustizieri. La dimestichezza con le armi l’hanno ereditata dai nonni e dai padri cacciatori (pare che anche il parroco tenga i fucili in canonica). E non stupisce la solidarietà manifestata a Graziano Stacchio, il benzinaio di Ponte di Nanto, cittadina a pochi passi da qui, che nel febbraio scorso ha ucciso uno dei rapinatori che stava assaltando la gioielleria Zancan. Per lui hanno fatto una colletta che ha superato i 20 mila euro, parte dei quali sono andati a un altro «eroe» della legittima difesa, Ermes Mattielli: un altro vicentino che ha sparato a due ladri sorpresi nel suo deposito, ed è stato condannato a cinque anni e quattro mesi per eccesso di legittima difesa, nonché a risarcire con 135 mila euro i malviventi gravemente feriti.
«Qui in paese ci conosciamo tutti» dice il sindaco col fucile a pompa Joe Formag¬gio, indagato per discriminazione razziale perché per le strade di Albettone ha affisso cartelli col divieto di sosta per i nomadi. «Io conosco i nomi dei cani di ogni mio residen¬te e se vedo uno sconosciuto seduto sulle mie panchine vado a chiedergli chi è, chia¬mo i carabinieri e non mi muovo di lì finché non arriva la pattuglia e lo allontana».
Sembra quasi l’inizio del film Rambo, con lo sceriffo che perseguita l’eroe del Vietnam solo perché è un forestiero, ma Formaggio vede soltanto il lato positivo della faccenda: «La solidarietà tra persone che si conoscono bene» dice «qui è molto forte. Quando anni fa subii un furto nel mio ristorante, accorsero decine di amici e in mezz’ora avevamo i fuoristrada sulle colline che davano la caccia ai ladri».
Il punto è proprio questo: un conto è il mutuo soccorso, altra faccenda è la caccia ai ladri. La discriminante è il senso di abbandono dei residenti della provincia. La stazione dei carabinieri è lontana da Albettone, e deve garantire la sicurezza in decine di paesini con poche auto e pochissimi uomini. «Lode ai carabinieri» dicono tutti, al bar del paese. «Ma se sento un vicino che urla “Aiuto! Al ladro!” non chiamo il 112 e aspetto che arrivino: io prendo il fucile e corro».
È il senso di abbandono che prova anche Roberto Zancan, titolare della gioielleria di Ponte di Nanto, che Panorama incontra proprio davanti al poligono di tiro vicino ad Albettone. «Due mesi fa mi hanno dato il porto d’armi» racconta «e vengo qui a sparare per imparare a maneggiare la pistola, ma anche per scaricare i nervi».
Zancan, che pure aveva subito furti, rapine e persino un sequestro in casa, aveva deciso di non rinnovare il porto d’armi per tiro sportivo: «Perché un’arma è sempre un’arma» spiega «e io ne ho sempre avuto paura». Poi, il 3 febbraio scorso, ha vissuto una sera di paura peggiore: «Sono entrati, erano in cinque: botte in testa e al fianco».
Da allora Zancan ha ricevuto minacce di morte e ha chiuso il negozio di Ponte di Nanto, ma non intende mollare la produzione: «Proprio ora che gli affari vanno bene non posso mettere sul lastrico 70 famiglie di dipendenti che mi hanno aiutato a crescere». Da quando Graziano Stacchio ha ucciso il rapinatore che stava assaltando il suo negozio, il gioielliere vive con le camionette dell’esercito sotto casa. «E poi, quando se ne andranno?» si chiede Zancan.
Intanto la compagnia assicurativa, cui ha versato 130 mila euro di polizza all’anno, gli ha rifiutato il rinnovo del contratto: troppo rischioso, in zona, assicurare un’azienda che fa gioielli. Zancan conferma quello che raccontano in molti: i furti, nel Vicentino, non li denuncia più nessuno. È inutile perdere tempo. Meglio prendere il fucile. Perché, come diceva un personaggio da spaghetti western, quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, l’uomo con la pistola è un uomo morto.