Il Sole 24 Ore, 5 novembre 2015
La “scalata virtuale” di Niel a Telecom. Il finanziere francese dichiara alla Consob di non possedere alcuna azione (potrebbe salire al 10% entro due anni), ma solo opzioni europee. Per ora nessuna Opa all’orizzonte ma rimangono molti dubbi
C’è da dire che, ancora una volta, Xavier Niel ha spiazzato tutti. Le carte che ha in mano oggi su Telecom non gli consentono di chiamare un’assemblea in tempi brevi, né di disporre di azioni tramite i derivati prima della metà del prossimo anno, né lo obbligano a rilevare nemmeno un’azione. Posizione evanescente quella del patron di Iliad che, sulla base di quanto dichiarato oggi alla Consob e al mercato, potrebbe avere da zero azioni fino al 10% in un periodo compreso tra il 21 giugno dell’anno prossimo e il 21 novembre del 2017.
Infatti, per il 5,1% si tratta di un’esposizione all’andamento del titolo che non prevede la possibilità di rilevare azioni, bensì solo il regolamento per cassa. Per il restante 10% circa del capitale si tratta di opzioni di acquisto, frazionate appunto nell’arco di 17 mesi a partire da giugno 2016, che possono, a scelta di Rock Investment, la società con cui Niel ha effettuato l’operazione, essere regolate in azioni o in contanti, tutte senza eccezioni. La parte per cassa/azioni prevede un primo step di rilievo per 660 milioni di azioni Telecom con regolamento in data 21 giugno 2016; due contratti da 134,75 milioni di azioni ciascuno con pagamento il 21 settembre 2017 e il 21 novembre 2017; tre contratti da 141,66 milioni di azioni con scadenza 23 marzo 2017, 26 giugno 2017 e 13 gennaio 2017. La parte regolabile esclusivamente per cassa è suddivisa i tre contratti da 135 milioni di azioni sottostati con regolamento 8 e 23 settembre 2016 e 13 ottobre 2017; un contratto da 134,75 milioni di azioni scadenza 18 settembre 2016; un contratto da 150 milioni di titoli con scadenza 18 agosto 2017. La sorpresa è che in tutti i casi si tratta di opzioni di tipo europeo che prevedono date fisse d’esercizio, limitando rigidamente le possibilità di manovra e aumentando i rischi per chi ha montato in questo modo l’operazione. La comunicazione sollecitata dalla Consob sottolinea infine che «salvo il verificarsi di casi standard di risoluzione o inadempimento e per taluni altri eventi straordinari o di “disruption”, Rock investment non ha il diritto di scegliere di risolvere anticipatamente i predetti accordi di sua iniziativa». Una gabbia, insomma, nella quale Niel è calato di propria volontà, autodenunciando la «posizione lunga» sul 15,1% di Telecom. Inoltre Njj, la holding che controlla al 100% Rock investment, «conferma di operare per conto proprio e di non agire in concerto con terzi in relazione a Telecom Italia».
Non c’è traccia nella nota di azioni già in possesso del finanziere francese. Martedì era trapelato che Niel avesse già un pacchetto di azioni, ma inferiore al 2% che è la soglia minima per l’informativa. In teoria non ci sarebbe l’obbligo di comunicare alcunché, se non fosse che la Consob ha avanzato precisa richiesta a riguardo. E, dunque, o si è trattato di un malinteso oppure le azioni non sono riconducibili a Niel, bensì a qualcun altro.
Ovviamente gli uffici della Consob hanno chiesto spiegazioni anche più sostanziali del perché di questa strana manovra. Non si sa se il finanziere transalpino abbia risposto, ma di certo non era tenuto a scoprire le sue strategie di investimento rendendole pubbliche. Tant’è che da quello che è uscito ieri, forse, si capisce ancora meno di prima sulle reali intenzioni del secondo francese spuntato – in via per ora del tutto potenziale – nel capitale di Telecom Italia. Alla Borsa tanto è bastato per capire che nel breve di Opa non si parla e così, in assenza di compratori a prezzi già sostenuti, il titolo ha ceduto il 3,72% a 1,216 euro. L’indagine Consob non è comunque finita qui, ma per ora non risultano fissate altre audizioni.
Il mistero, dunque, non si è dissolto. Come pure prosegue il “giallo” degli spostamenti romani del finanziere transalpino, ieri dato in visita in ambienti governativi. Il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, ha fatto sapere che per il momento il Governo non ha intenzione di convocare Niel. «Ognuno ha le sue prerogative – ha osservato – La Consob ha le sue». Quanto all’ipotesi di usare il golden power (che non vale però nei confronti dei soggetti europei), Giacomelli ha invitato a interpellare il sottosegretario Claudio De Vicenti, che qualche giorno fa ha insistito sugli aspetti industriali di qualsiasi operazione. «Il golden power è prerogativa di Palazzo Chigi», ha osservato il viceministro per le tlc.
In questo clima confuso il consiglio Telecom si riunisce oggi a Milano per esaminare i conti dei primi nove mesi. Tim Brasil ha anticipato ieri i suoi: ricavi scesi del 9,2% a 13,01 miliardi di reais con Ebitda in flessione dell’1,8% a 3,9 miliardi di reais.
Oltre ai conti, sul tavolo del board dovrebbe esserci il tema contenziosi (probabile una transazione con Fastweb) e il progetto di far confluire Open Access, la rete d’accesso, nella divisione wholesale per mettere in assoluta parità gli operatori alternativi con Telecom. La speranza è che questo possa aiutare anche a evitare una multa dell’ordine di 200 milioni che l’Antitrust potrebbe comminare a Telecom per inadempimenti relativi all’abuso di posizione dominante.
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Non si va da Lazard se si vuole costruire una posizione in derivati, per il semplice motivo che Lazard non li tratta. Non si va da Sergio Erede – che tra gli avvocati di sicuro non è il più economico – se si vuole impostare un’operazione finanziaria, per il semplice motivo che forse è più logico e conveniente ricorrere a un trader. Non si fa una speculazione finanziaria imbrigliandosi volontariamente in una gabbia di scadenze rigide che aumentano solo i rischi se non si è certi un domani di poter girare a qualcun altro le azioni.
Alle prime evidenze, la “scalata virtuale” di Xavier Niel in Telecom Italia si è rivelata quasi un bluff: i contratti stipulati gli consentono di non comprare nemmeno un’azione. E comunque del 15,1% denunciato solo il 10%, volendo, è effettivamente trasformabile in azioni a partire dalla metà dell’anno prossimo. Non si scala né si comanda con queste carte in mano, ma l’impressione è che quanto emerso finora sia solo la punta dell’iceberg. Un contesto che lascia presupporre che per guadagnare occorra provocare uno spezzatino di Telecom. Qualcuno potrebbe poi chiamare sulla scena un “cavaliere bianco” che, se non avesse il passaporto europeo, si presterebbe a far tornare la rete di tlc direttamente allo Stato.
Davvero non ci sono alternative? Le banche hanno attinto capitali a ripetizione sul mercato per mettere a posto i loro ratio patrimoniali e anche quelle molto malmesse ce l’hanno fatta. Perché Telecom non dovrebbe poter chiamare un aumento di capitale per un progetto che valga la pena di essere sostenuto? C’è lo sviluppo della banda ultralarga, che è d’interesse nazionale, anche se probabilmente ha tempi di ritorno lunghi per gli investitori poco pazienti. Ma c’è anche il Brasile, ultima provincia di rilievo dell’ex impero Telecom, che offre l’occasione unica di diventare leader potenzialmente a costo zero. Oi ha bisogno di un’integrazione industriale che solo Tim Brasil può offrirgli per uscire dalle secche. Una fusione tra i due gruppi sarebbe in grado di sprigionare sinergie per almeno 7 miliardi che, da sole, potrebbero ripagare l’operazione. È vero che c’è il problema di un contenzioso di analogo ordine di grandezza, ma è nei confronti del fisco e del regolatore, di controparti pubbliche, cioè, che hanno tutto l’interesse ad aiutare per quanto possibile l’ex campione nazionale a risollevarsi dal tappeto.
In passato la preoccupazione di non compromettere un fragile assetto di controllo, con una parvenza di italianità, aveva sempre avuto la meglio. Ma adesso, che a contendersi – non si sa bene per quale motivo – quel che resta di Telecom sono due francesi? Meglio guadagnare tutti con un progetto industriale che meriti il sostegno dei capitali o meglio farsi allettare da una proposta finanziaria – lo smembramento del quarto gruppo del Paese – che certamente avrebbe ritorni più immediati ma priverebbe l’Italia di un ruolo in un settore non certo irrilevante come quello delle tlc?