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 2015  novembre 05 Giovedì calendario

Volete sapere cosa pensano i bambini? Leggete il libro “Maestra, che ne sarà di me?”

Angela Maria Borello, fondatrice, con altre sue colleghe, della Scuola Saint Denise di Torino, ha pubblicato il libro Maestra, che ne sarà di me? (Grantorino libri, pagg. 224, 20 euro, rintracciabile su Amazon) che è una raccolta di pensieri dei bambini dai 2 ai sei anni.
Questi pensieri sono stati trascritti come sono stati detti. Solo i nomi sono stati confusi perché tutto ciò che dice un bambino è come se lo dicessero tutti
Maestra, perché ha scritto «Maestra, ma che ne sarà di me?»
Da molti anni annoto sul mio taccuino frasi, battute e domande che i bambini mi rivolgono e le trovo particolarmente interessanti e significative. Rileggendole dopo un po’ di tempo le ho trovate belle e significative. Pensavo che, se sorprendevano me, avrebbero sicuramente impressionato ed entusiasmato anche gli altri. Sono convinta che le espressioni dei bambini meraviglieranno soprattutto quei genitori che rimanevano increduli e perplessi quando raccontavo loro le frasi dei figli, sottovalutando, a volte l’importanza di questi messaggi. L’idea di scrivere questo libro, raccogliendo le note sparse, nasce proprio dalla volontà di mettere nero su bianco le parole dei bambini, per restituire ad esse la giusta importanza: verba volant, scripta manent.
Mi ha colpito che nel testo sono presenti linguaggi da adulto acculturato, com’è possibile?
Nonostante io abbia trascritto esattamente quanto i bambini dicevano, senza omettere le loro espressioni ed i loro errori, è evidente l’utilizzo di un linguaggio accurato da parte loro. Il motivo è da ricercarsi nella condizione sociale di chi frequenta questa scuola: una fascia medio- alta di certo dal punto di vista culturale. Su questi bambini viene investito molto in materia di educazione: la padronanza di un lessico ricercato è da ricondurre proprio a questa attenzione delle famiglie.
Dietro a ogni libro ci sono storie, idee, filosofie, sentimenti, emozioni. Qual è la chiave di lettura corretta?
Mi sono accorta, negli anni, che i bambini rispondevano solo ad un certo modo di fare domande: avevano bisogno della domanda giusta per replicare in modo esaustivo. La domanda «giusta» implica, spesso, un’altra domanda. Quando un bambino chiede qualcosa, non sta cercando una risposta dall’adulto. La soluzione la vuole trovare da solo: ha bisogno che ai suoi quesiti venga attribuita importanza e dignità. A quel punto, sarà capace di darsi da sé una risposta. Nel progetto didattico promosso dalla scuola, gli educatori tendono ad incentivare il bambino a problematizzare i suoi interrogativi, più che offrire una possibile risoluzione.
Qual è l’errore che può compiere l’adulto?
È quello di fornire risposte ai bambini e, nei casi più gravi, di non aspettare nemmeno le loro domande. Il bambino, nel suo percorso di crescita personale, deve dubitare per mettere alla prova le sue conoscenze e costruire le sue certezze. Da queste pagine traspare, inoltre, la notevole capacità dei bambini di parlare delle proprie emozioni. Gli educatori, nella nostra scuola, aiutano i bambini a riconoscere, nominare ed accettare ogni sentimento che provano: questo percorso li guida a rapportarsi con la propria emotività in modo sereno e naturale e condividerla con i propri coetanei.
Quindi dietro al libro c’è un pensiero pedagogico o addirittura un progetto?
Dietro questo libro c’è un preciso progetto pedagogico: esso parte dal presupposto che educare significa, come indica l’etimologia latina del termine, «tirare fuori». Il bambino ha già tutto dentro. Ed ecco che torno al punto di prima: le risposte non devo darle io al bambino. Il mio compito, come educatrice, è semmai quello di spronarlo ed accompagnarlo a cercarle da solo. Educare è ascoltare, osservare, permettere, rispettare, risvegliare, aiutare, lasciare spazio. Il bambino cresce credendo in sé stesso perché è seguito da un adulto fiducioso nelle sue capacità e riesce a trovare le risposte di cui ha bisogno. In molti passi del libro si ritrovano critiche mosse dai piccoli al mondo degli adulti. Attenzione: queste non sono parole di bambini poco accuditi. Solo un bambino amato, infatti, può parlare così perché solo chi ha fatto esperienza e conosce una condizione è in grado di parlare della sua assenza. Un bambino che non ha mai ricevuto un certo amore non può contestarlo perché non lo conosce.
È un libro umanissimo, lo si può leggere in tanti modi, ricordando che è stato scritto da bambini che non sanno ancora scrivere, lo hanno «dettato» alla loro Maestra, che si è fatta spugna e amanuense. La possiamo considerare una storytelling ante litteram? Penso di sì, Sono curioso delle reazioni dei miei nipotini quando lo leggeranno.
Un ricordo adolescenziale, nei tre mesi estivi facevo l’aiuto pastore di mio zio nell’Alta Garfagnana, in pratica facevo ciò che il cane pastore rifiutava. Lo zio sosteneva che gli agnelli erano terrorizzati dai lupi, si aggrappavano al pastore senza sapere che lui, un giorno, li avrebbe portati al macello. Potrebbe essere una metafora della scuola? No, perché nella storia garfagnina il personaggio più umano è il «cane pastore», l’unico «buono» con gli agnellini, non va oltre il mantenere la disciplina, oltretutto abbaiando raramente.
E il pastore?
Probabilmente, lui, rappresenta la società.