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 2015  novembre 05 Giovedì calendario

Omicidio di Elena Ceste. Il marito condannato a trent’anni

Michele Buoninconti, 46 anni, vigile del fuoco, incensurato e padre di quattro figli tra i 6 ai 16 anni, è stato condannato ieri a 30 anni di carcere per l’omicidio della moglie Elena Ceste, 37 anni, scomparsa da casa la mattina del 24 gennaio 2014 e ritrovata cadavere il 18 ottobre 2014 in un canale a 800 metri dalla casa di famiglia di Costigliole d’Asti. La sentenza nel processo in rito abbreviato condizionato è arrivata ieri alle 17,54 dopo tre ore di camera di consiglio. Il giudice monocratico, Roberto Amerio, ha 90 giorni per scrivere le motivazioni di una decisione che ha accolto in pieno le tesi del pm Laura Deodato e del nucleo investigativo dei carabinieri di Asti.
I risarcimenti
Buoninconti, affiancato dai suoi legali di fiducia, Giuseppe Marazzita ed Enrico Scolari, è rimasto impassibile («Avvocato, e ora cosa facciamo?», ha detto, stremato dalla tensione) ed è stato riportato nel carcere di Verbania dove ha trascorso nove mesi. In aula anche i genitori di Elena Ceste, Franco e Lucia Reggio. Commossi ed esausti, sempre presenti alle udienze. A loro, ai quattro figli e ai familiari, un risarcimento di un milione e 790 mila euro: 300 mila euro a ciascuno dei figli; 180 alla madre, la stessa somma al padre, alla madre e alla sorella; infine 50 mila euro al cognato Danilo Pacelli. I familiari di Michele credevano nell’assoluzione, sono andati via rapidamente in lacrime. Prima, un urlo, nel silenzio del Tribunale in attesa del verdetto.
Scolari e Marazzita si sono intrattenuti a lungo con Buoninconti, vestito al solito in modo sportivo, felpa bianca con cappuccio e blue jeans, capelli lunghi e barba. Ha chiesto agli agenti di polizia penitenziaria di impedire ai reporter di fotografarlo, nel giorno più lungo e drammatico della sua vita.
Dopo le repliche del pm, della parte civile e della difesa, Buoninconti aveva affidato a una lettera di cinque pagine le sue riflessioni e le ragioni della sua innocenza: «...Sono vedovo a causa di una tragica fatalità e padre di quattro figli, vittima di un errore giudiziario. Mia moglie, Elena Ceste, si è allontanata da casa nuda durante una crisi psicotica il 24 gennaio 2014 ed i suoi resti sono stati ritrovati il 18 ottobre dello stesso anno a poche centinaia di metri da casa nostra, nel letto del Rio Mersa. Già la mattina della scomparsa di Elena i carabinieri mi chiamavano Misseri e Parolisi... Ma davvero lei crede che sia possibile che io con una mano abbia serrato bocca e naso di mia moglie per sei lunghissimi minuti, un tempo interminabile, senza che lei si difendesse, senza che lei provasse a togliermi la mano, senza che mi mordesse o mi graffiasse, allungando così inesorabilmente i tempi del presunto omicidio?». Infine: «Le chiedo di porre fine a questo strazio per i miei figli, per me e per Elena che non avrà pace finché tutta la verità non verrà fuori».
La difesa
I difensori faranno appello e sperano in un esito diverso in Corte d’Assise a Torino. Marazzita: «È una battaglia da fare fino alla Cassazione». Scolari: «C’è ancora molto lavoro da fare, dobbiamo acquisire le cartelle cliniche dei ricoveri di Elena Ceste in cui potrebbero emergere conferme del suo disagio psichico».
Due aspetti dell’ultima ora: lui, che afferma di non avere mai tradito la moglie se non dopo la sua morte («L’uomo non divida ciò che Dio ha unito») aveva una relazione con una donna dal settembre 2014, durante le vacanze al mare, quando il corpo di Elena non era stato trovato. E dunque avrebbe saputo che la moglie era già morta. E quella bizzarra frase nella sua memoria, quando afferma che era impossibile uccidere «con una mano sola». Nessuno aveva mai rilevato questo dettaglio prima d’ora. Incastrato dalle tracce di terriccio trovate sui vestiti di Elena, dagli impulsi registrati dalle celle telefoniche. E da molte bugie e contraddizioni.