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 2015  novembre 05 Giovedì calendario

Allarme generale: Isis ha trovato il modo di aggirare i controlli e mettere le bombe sugli aerei. È vero, è stato il Califfo a far precipitare l’Airbus Metrojet sul Sinai

«È stata una bomba di Isis»: Londra e Washington alzano il velo sulla matrice terroristica del disastro aereo del Sinai nel giorno in cui lo Stato Islamico, con una seconda rivendicazione, afferma di non voler rivelare come sono riusciti a compiere l’attentato.
Il comunicato britannico
Il primo passo arriva da Downing Street e coincide con l’arrivo a Londra di Abdel Fattal Al Sisi. Il premier britannico, David Cameron, anticipa per telefono al presidente egiziano il contenuto del comunicato che mette nero su bianco le conclusioni tratte dagli investigatori all’opera sul disastro dell’aereo russo costato la vita a 224 persone. «Alla luce delle informazioni raccolte riteniamo che l’aereo sia stato abbattuto da un ordigno esplosivo – afferma Downing Street – sebbene non possiamo affermarlo con assoluta certezza». Le «informazioni» a cui Londra fa riferimento sono quelle che trapelano da Mosca: la tv «Russia Today» trasmette l’audio di un medico egiziano che, dopo aver esaminato alcune salme di passeggeri, afferma «portano i segni di un’esplosione a bordo» e la tv Cnn, citando fonti russe, aggiunge «sono state trovate parti di acciaio dentro alcuni corpi». Il fatto che la coda sia stata trovata a 5 km dal resto dell’aereo è il terzo tassello che suggerisce la pista della bomba: nell’aereo c’era un ordigno, è esploso 23 minuti dopo il decollo, tranciando la coda e innescando il disastro improvviso. Si spiega così anche il fatto che «le comunicazioni registrate nelle scatole nere non aiutano – come dicono i portavoce egiziani – perché si interrompono bruscamente a 4 minuti dal disastro».
La conferma americana
Sebbene Al Sisi continui ad affermare che «nel Sinai è tutto sotto controllo» Cameron trae le conclusioni: è stata una bomba e bisogna appurare in fretta le sue caratteristiche per scongiurare nuovi attentati. È la stessa conclusione dell’intelligence Usa che aggiunge: «È stata Isis a mettere la bomba». Si tratta dunque del primo attacco del Califfo ad un aereo di linea. I jihadisti dello Stato Islamico (Isis) postano online una seconda rivendicazione, con un video in cui quattro di loro hanno il volto scoperto e uno parla in russo minacciando Putin: «Sei un maiale, invaderemo il tuo Paese, uccideremo la tua gente».
La provocazione jihadista
Nella rivendicazione i jihadisti si fanno beffa degli inquirenti: «Gli autori siamo noi ma non è questo il momento per dirvi come ci siamo riusciti». «Sono riusciti a bucare la sicurezza dell’aeroporto di Sharm» osserva Robert Baer, ex capostazione Cia in Medio Oriente. Questo è il motivo per cui Cameron invia a Sharm 18 investigatori per «rendere sicuri i voli in partenza». Sospendendo ogni decollo verso la Gran Bretagna fino a nuovo ordine. Ci sono almeno duemila inglesi a Sharm, Cameron teme per loro. Intelligence inglese, Usa e russa sono impegnate in una lotta contro il tempo per scoprire tipologia e percorso della bomba. Riuscirci può aiutare a prevenire altri attentati. Poiché gli ultimi tentativi di far esplodere aerei sono stati di «Al Qaeda in Yemen» usando microesplosivi ad alto potenziale un’ipotesi è che Isis se ne sia impossessato, riuscendo ad ingannare i metal detector di Sharm. La riunione di Cameron con il comitato «Cobra» – il vertice dell’antiterrorismo – dà la misura della minaccia globale che viene da Sharm. In attesa delle contromosse di Putin, primo bersaglio della sfida dei terroristi.
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L’attacco sarebbe avvenuto attraverso l’uso di una bomba convenzionale, non particolarmente sofisticata, posta a bordo con l’aiuto di un complice impiegato all’aeroporto. Nella penisola del Sinai ci sono formazioni legate all’Isis, e la loro attività era aumentata nelle ultime settimane. A questo si sono aggiunti due fattori, che avrebbero fatto scattare l’assalto: primo, la cronica debolezza dei controlli di sicurezza all’aeroporto di Sharm el-Sheikh, che non sono paragonabili a quelli degli scali occidentali e possono essere infiltrati dagli estremisti locali; secondo, l’intervento di Putin in Siria, che ha reso la Russia un obiettivo privilegiato, e forse più facile degli americani (Paolo Mastrolilli)