la Repubblica, 5 novembre 2015
Volkswagen, rischia anche il nuovo capo azienda, Matthias Mueller
TORINO. La linea del Piave non ha retto. Ha ceduto dopo poche settimane e ora Wolfsburg dovrà trovare rapidamente una nuova strategia per fermare l’emorragia di fiducia che gli ultimi sviluppi dello scandalo dei motori truccati propone a un’opinione pubblica sempre più sconcertata.
Fin dai primi giorni di quello che è ormai improprio anche definire «dieselgate», la linea di Volkswagen era stata precisa: i motori coinvolti sono quelli diesel, di cilindrata 1,6 e 2,0 prodotti fino al 2014 mentre le emissioni modificate dal software durante i test sono quelle dell’ossido di azoto. Questa era la linea del Piave. Tutti i propulsori che non rispondevano a questo identikit potevano dunque considerarsi sicuri. Da lunedì, quando le prime indiscrezioni hanno cominciato a filtrare dall’Epa, l’ente americano che indaga sullo scandalo, la linea di difesa ha cominciato a vacillare. Il colpo di grazia è arrivato dalla commissione di indagine interna della stessa Volkswagen e delle dichiarazioni fatte ieri in Parlamento dal ministro dei Trasporti di Berlino. Perché i nuovi particolari smentiscono clamorosamente i tre cardini della linea del Piave: degli 800 mila modelli che si è recentemente scoperto essere equipaggiati con software truccato, circa 100 mila sono alimenati a benzina. Dunque lo scandalo non è circoscritto ai diesel. Inoltre si tratta di motori che vengono tuttora prodotti e vengono montati sui nuovi modelli, dunque non è vero che il contagio si è fermato al 2014. Infine ad essere messa in dubbio non è solo l’effettiva quantità di ossido di azoto che esce dal tubo di scappamento ma anche la quantità di CO2. Al punto che nella nota diffusa martedì sera il produttore tedesco afferma che una valutazione sulle conseguenze delle irregolarità riscontrate non è ancora possibile e che dunque Vw si metterà “immediatamente a disposizione” delle autorità preposte all’omologazione. Un riferimento che lascia intravedere uno scenario molto preoccupante. A differenza dell’ossido di azoto, i cui limiti sono più rigorosi in Usa che in Europa, la CO2 è il principale inquinante che determina la classe di un veicolo nel Vecchio Continente. Se le emissioni rilevate nei test sono molto minori di quelle reali c’è il rischio che un motore classificato euro 5 o euro 6 possa avere in realtà caratteristiche da euro 4. Questo spiega perché nel comunicato ufficiale di martedì Wolfsburg fa riferimento alle autorità addette all’omologazione.
È evidente che urge un cambio di strategia. Per evitare che con il passare del tempo altre linee del Piave vengano travolte rischiando di coinvolgere direttamente anche quel Matthias Mueller chiamato a sostituire Martin Winterkorn al deflagrare del dieselgate. Perché Mueller, in queste settimane coerente difensore della linea di trasparenza totale, potrebbe addirittura trasformarsi da possibile soluzione in parte del problema se il coinvolgimento della Porsche, altra novità delle ultime rivelazioni americane, si dimostrasse più serie del previsto.