Corriere della Sera, 5 novembre 2015
Eusebio Di Francesco e i suoi ragazzi per bene
SASSUOLO In campo: «Devo fare gol io? Guardate che quello che fate qua ve lo portate la domenica». In aula: «Potrete rubare qualcosa di ciò che avete visto, ma non si può fare copia e incolla. L’allenatore lavora di pancia, può trasmettere solo ciò di cui è convinto». Nelle chiacchiere della sera: «Sa che io allo stadio in Italia non andrei? Non sopporto il tifo contro, le parolacce, l’esasperazione».
Una giornata con Eusebio di Francesco, stadio Ricci, centro di Sassuolo e di quanto d’interessante sta accadendo nel calcio italiano. La parte più istruttiva avviene davanti alla lavagna. Primo comandamento: «Lavoro per la mia squadra e non pensando al Carpi che affrontiamo domenica». Secondo: «I giocatori devono avere certezze. La ripetitività migliora i meccanismi. Si annoiano? Pace». Armato di pennarello, l’allenatore con il nome nel destino («Di Eusebio ho perso la foto autografata, un peccato, era per mio padre») racconta generoso a 40 allenatori dei dilettanti venuti da Pesaro e Urbino quello che prova in campo. È il suo momento: anche Arrigo Sacchi è qua, incuriosito dal laboratorio Sassuolo, 5° in classifica, con il Milan, ma soprattutto un’impronta sul calcio italiano. Di Francesco disegna frecce, mostra movimenti, ripete il suo credo: «Difesa alta, squadra corta». Tante domande. «Si vede che siete italiani, tutte sulla fase difensiva! Pensavano che io non la sapessi! Qua l’attenzione non è sull’avversario, ma sulla palla». Ma anche situazioni comuni a tutte le categorie: «Mister, quando i giocatori capiscono chi sarà titolare, chi sta fuori si demotiva». «E tu non far capire chi gioca!». L’allenamento è aperto al pubblico: c’è Sacchi, ma anche tanti pensionati di Sassuolo. «Questo è un ambiente familiare. Abbiamo aumentato la professionalità, senza perdere la nostra dimensione».
È questo il segreto?
«Dev’essere la nostra forza. Tutta la società è cresciuta: ha creduto nella continuità. Cambiamo poco, aggiungiamo solo giocatori funzionali e ragazzi per bene».
La scorsa stagione avete chiuso con 15 punti in più del primo anno di A. È possibile continuare la crescita?
«L’obiettivo è non accontentarsi. Le aspettative aumentano e non è facile. Ora siamo contenti: sono cresciute consapevolezza e organizzazione».
L’Europa League è un obiettivo?
«Ci sono tante squadre attrezzatissime. Noi puntiamo a fare qualcosa in più dell’anno scorso, l’obiettivo resta mantenere la categoria per costruire il centro sportivo».
Come si lavora con i giovani?
«Vanno accompagnati. Tocca a me avere la forza di aspettare se intravedo delle qualità. Il difficile non è tanto farli giocare ma tutelarli dopo».
Quindi lei un portiere di 16 anni, come Donnarumma, lo avrebbe messo titolare?
«Perché no? Peraltro mi ha fatto una buona impressione».
Dopo Milan-Sassuolo il presidente Silvio Berlusconi è venuto a farle i complimenti.
«Sì, è venuto a cercarmi. Mi ha detto che nonostante avessimo giocato in dieci non avremmo meritato di perdere».
Quindi nel futuro la vedremo al Milan?
«Nella vita mai dire mai. Detto questo il mio percorso ora passa solo da Sassuolo. Mi reputo fortunato. Ci sono 20 allenatori in A. E poi io amo le cose concrete, anche se i complimenti fanno piacere. Così come le critiche motivate fanno crescere».
Lei non è permaloso?
«Fossi stato permaloso, quando sono tornato dopo l’esonero mi sarei comportato diversamente: sono tornato più positivo di prima».
Dove può arrivare Berardi?
«Ha grandissimi margini di crescita. Tutto passa dalla sua voglia di migliorare».
Le difficoltà di Zaza alla Juve sono quelle logiche?
«Ne ha avute all’inizio, l’ho anche sentito, ma nelle ultime gare mi è piaciuto. Deve avere la forza di aspettare».
Altri giovani che saranno famosi.
«Fontanesi: è stato adattato terzino e ha grandi potenzialità. E Pellegrini: un centrocampista del ’96, che sa fare tutto».
In cosa sono cambiati i calciatori rispetto ai suoi tempi?
«Forse una volta erano più bravi a socializzare, a divertirsi assieme con una partita a carte. Ora ci sono tutti quei giochini elettronici, non li capisco, ma sono io che mi devo adattare per entrare nelle loro teste. Poi i miei giocano anche a carte e a volte mi aggiungo pure io. Ai miei tempi se ti dicevano di fare tre capriole e un salto mortale eseguivi, ora ti chiedono perché. I giocatori sono molto attenti, più evoluti, ti giudicano e sono loro che fanno spesso la tua fortuna perché ti pubblicizzano più di tutti».
Le sue città del cuore.
«Pescara: del Pescara sono tifoso, andavo in curva da ragazzino. Poi Empoli, Piacenza, dove sono presidente di una onlus, Roma naturalmente, e Sassuolo. Questa è una terra che ti squadra all’inizio ma poi ti accoglie, anche mia moglie qui ha un sacco di amicizie».
E il mare non le manca?
«Da morire».
Chi vince il campionato?
«Roma e Inter davanti a tutti: la Roma è la squadra potenzialmente più forte, l’Inter ha una grande solidità. Il Napoli può dare fastidio a entrambe».
Damiano Tommasi è un suo grande amico: parlate mai di come migliorare questo calcio?
«Certo, l’ultima volta abbiamo parlato del ragazzino morto in campo a Pineto, conosco la mamma e sono andato a trovarla. Vogliamo aumentare i controlli per prevenire queste tragedie. Poi abbiamo parlato spesso delle scommesse».
Ha mai avuto sospetti di combine?
«Dico che se avessi saputo con certezza avrei denunciato chiunque».
Con chi uscirebbe a cena tra i suoi colleghi di A?
«Con Montella esco davvero ma ora non allena. Allora dico Sarri, sarebbe una serata interessante, e Sousa».