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 2015  novembre 05 Giovedì calendario

Le tenerezze di D’Annunzio e i suoi vuoti. Parla Martino Zanetti, il collezionista

«D’Annunzio è il motivo legante di tutti i miei interessi. Direi di tutta la mia vita. La mia, più che una passione letteraria, è una similitudine umana. A volte mi sembra quasi di essere lui». Martino Zanetti, origini trevigiane, industriale del caffé – il suo marchio Hausbrandt fattura 75 milioni l’anno – e collezionista di cimeli e opere di D’Annunzio, racconta del suo amore per il «Vate» con toni da fiume in piena; dannunziani, o comunque molto immedesimati.
Dalla vita militare, «che ho fatto a Cuneo come Totò: il che mi rende un uomo di mondo. Ogni sera attraversavo il Col de Tende per andare a spassarmela a Montecarlo; dormivo molto poco, rientravo al mattino in tempo per l’alzabandiera», alle avventure di imprenditore.
«Cerco anche lì, sistematicamente, una dimensione estetica. Un esempio: oltre al caffé mi sono messo a produrre un marchio di birra, e l’ho fatto perché mi interessano i sumeri, i primi birrificatori della storia, e i birrai viennesi. Per me produrre è come indossare un abito di scena e salire sul palco».
L’ultimo abito di scena che Zanetti, 72 anni, ha deciso di infilare, è quello del mecenate: il valore dei 3 mila fogli (tra lettere, poesie e la prima stesura autografa della Vita di Cola di Rienzo ) che ha donato al Vittoriale è stimato sui 500 mila euro. «Li comprai negli anni Ottanta, da un antiquario di mia fiducia: non ricordo la somma». Così, acquistati tutti insieme, i documenti formavano una collezione già autonoma: la cosiddetta «collezione Guabello», dell’imprenditore Mario Guabello che, coevo di D’Annunzio e suo grande cultore, passava a volte al Vittoriale degli Italiani a comperare scritti dannunziani quando il poeta aveva bisogno di denaro.
«Ho tenuto per trent’anni questa collezione in ufficio, sfogliandola ogni tanto. L’oggetto in sé è una cosa emozionante, ma è la lettura di D’Annunzio che è emozionante, pure in paperback, pure in un’edizione anonima», racconta l’industriale.
«I capisaldi per me – continua Zanetti – sono Il libro segreto e La figlia di Iorio: con il teatro, Gabriele D’Annunzio esce dal tempo, e il Libro segreto ha la stessa lentezza di queste ultime lettere. Ma il mio amore è iniziato al liceo, dalle sue poesie. Avevo un professore che mi incoraggiava molto a studiare, il professor Piva, buonanima: poi abbandonai l’università, proprio come D’Annunzio. Come lui sono iscritto all’Accademia della Crusca, e mentre lui aveva come titolo “Lo immaturo” io non ne ho alcuno, ma sceglierei “Il Disadorno”: perché gli orpelli non mi garbano».
Così come «il politichese. Nemmeno quello mi piace. Siamo per fortuna in un momento in cui le masse si sono stufate tantissimo del linguaggio politico, delle sue stupidaggini correnti. È per questo che ho deciso che era il momento giusto per donare la mia collezione: perché la gente è più pronta di prima a ricevere D’Annunzio. Uno fra i grandissimi italiani, direi che come lui ci sono Dante, Petrarca e Leopardi: eppure travisato, non adeguatamente rappresentato né capito perché la nostra critica lo ha sempre bollato come fascista, mentre era solo un patriota».
Fascista; sessuomane; salottiero: «Sono le etichette più trite che con la compiacenza della critica politicizzata si sono sparse a danno del Vate», continua Zanetti. «E così di D’Annunzio sappiamo solo le gherminelle, solo gli aneddoti salaci: non è triste che gente che non sa nulla di nulla sappia certamente almeno un unico aneddoto dannunziano a sfondo sessuale?». E invece, si scalda l’imprenditore, «in questo momento di crisi indotta c’è necessità del suo vitalismo, un vitalismo non vano, e del suo patriottismo, che trascende il momento storico».
E invece di D’Annunzio «ci serve tutto», si commuove Zanetti, «anche la sua inaspettata dolcezza, e persino il suo modo di raccontare bugie: il modo in cui cerca di dismettere Elda, la sua prima fidanzata, nelle ultime lettere del primo blocco della collezione, sembra quasi un tentativo di proteggerla da se stesso, dalla propria instabilità, dalla propria allergia alle zavorre. E il senso di vuoto che prova nell’invecchiare, nel decadimento fisico, che leggiamo nelle ultime missive, parla a tutti noi. Ho 72 anni a febbraio, e il suo vuoto è anche il mio».