Corriere della Sera, 5 novembre 2015
Gabriele Muccino considera Pasolini un analfabeta di cinema. Lo scrive sul web, viene sommerso di insulti e chiude la sua pagina Facebook
P.P.P. divide ancora. Quarant’anni dopo il suo assassinio (caso ancora aperto, lo dimostrano recenti sviluppi, in tanti hanno parlato di «cadavere insepolto») Pier Paolo Pasolini suscita polemiche, furiose liti, insulti, esattamente come se fosse vivo, forse perché è vitalissimo il materiale intellettuale che ha lasciato.
I fatti. Il 2 novembre il regista Gabriele Muccino, da Malibù dove vive, ha deciso di ricordare a suo modo il regista-letterato. Una provocazione controcorrente rispetto alle commemorazioni e ai rimpianti. Una prosa forte, com’è nel carattere di chi da anni polemizza a distanza col fratello Silvio e con la sua amica-collaboratrice Carla Vangelista, affrontando una causa in tribunale.
Perentoria la riflessione su Facebook: «Ho sempre pensato che Pasolini regista fosse fuori posto, anzi, semplicemente un “non regista”... Uno che usava la macchina da presa in modo amatoriale, senza stile, senza un punto di vista meramente cinematografico sulle cose che raccontava, in anni in cui il cinema italiano era cosa altissima... ha di fatto impoverito e sgrammaticato il linguaggio cinematografico dell’epoca (altissimo sia in Italia che nel resto del mondo)».
Un fiume di reazioni, in massima parte furiose, con la nascita della pagina «Muccino sei un Accattone».
Qualche esempio: «Ma Muccino è un regista???», «Sei tu ignorante, vai a vedere i film che hai fatto». Qualcuno segnala un pezzo su YouTube de «Il vangelo secondo Matteo» e conclude: «E questa sarebbe l’assenza di stile di Pasolini una di quelle scene che per il filosofo Muccino avrebbe fatto arretrare il cinema italiano».
Si gioca con i titoli pasoliniani («Muccino, la Ricotta al posto del cervello») e con i classici («Victor Hugo gli dedicò “I miserabili” ancor prima che nascesse»), e poi «Muccino che parla di Pasolini? Come se Moccia avesse qualcosa da dire su Leopardi». Lo storico del cinema Roy Menarini parla di «formidabile accozzaglia di stupidaggini».
Comunque Muccino non è stato il primo né sarà l’ultimo a contestare il cinema di Pasolini (Carmelo Bene, in una famosa intervista di cui esiste una videoregistrazione, a proposito di «Salò o le 120 giornate di Sodoma» parlò di «dannunzianesimo inconfessabile» e di una «lettura sadiana anche un po’ didascalica, perché gli apparteneva, Pasolini era un violento...»).
Il confronto su Facebook è durato appena 22 ore. Dopo il mare di post ostili (qualcuno lo ha spalleggiato: «Non capisco come si può guardare i film di Pasolini. Sono di una noia mortale senza senso. Senza trama, senza motivo») Muccino ha chiuso la pagina: «Li lascerò, i vostri insulti, per quanto possa mai riuscire a resistere dal non cancellarli quando mi ci imbatta, essendo voi entrati con le scarpe infangate in casa mia senza avere neanche avuto la premura di togliervele o di lasciare una decente pulizia alle vostre spalle. Siete entrati solo per gettare merda sulle mie lenzuola. Ora basta, chiudo questa parentesi penosa di fascismo applicato. Domani olio di ricino a colazione e il mio peccato verrà purificato».
Un addio che il giornalista e regista Giorgio Cappozzo ha sarcasticamente commentato citando la poesia dedicata da Pasolini il 1° marzo 1968 alla Battaglia di Valle Giulia: «Quando ieri su Facebook facevate a botte con Muccino, io simpatizzavo con Muccino. Pier Paolo Pasolini».
Perché è stata davvero una battaglia, anche se tutta sulla Rete. È intervenuto anche Fiorello: «Non so se Gabriele Muccino abbia torto o ragione. Sono una capra in materia. È ora però che sui social si impari a rispettare chi la pensa diversamente da noi». Soprattutto se si tratta di Pasolini.