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 2015  novembre 05 Giovedì calendario

Assoluzione piena per Mannino. Duro colpo a chi crede nella trattativa tra Stato e mafia

PALERMO Con un verdetto di assoluzione «per non avere commesso il fatto» l’ex ministro Calogero Mannino, da 25 anni sotto processo, esce a testa alta dal processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Esce da un processo parallelo che aveva chiesto di celebrare con il rito abbreviato, mentre altri imputati eccellenti fra politici, ufficiali dei carabinieri e boss mafiosi sono ancora sotto pressione, tutti insieme in un altro estenuante dibattimento.
Accusato di aver suggerito il primo input ad alti ufficiali come Mario Mori o Giuseppe De Donno per «trattare» con i Corleonesi, temendo per la sua stessa vita, Mannino ha sempre respinto ogni addebito, trascinato in questo troncone giudiziario dopo essere stato assolto in Cassazione per il procedimento avviato negli anni 90 dal pool un tempo egemonizzato da Antonio Ingroia, sotto la gestione di Giancarlo Caselli.
Il verdetto di ieri mattina, lasciando cadere l’ipotesi di quel primo input, finisce per fare traballare anche l’altro processo che ha coinvolto in passato perfino l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per le intercettazioni con Nicola Mancino, uno degli imputati a processo per falsa testimonianza.
Traballa soprattutto il reato di «violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario» previsto dall’articolo 338 del codice penale. Reato dal quale Mannino è stato assolto per decisione del giudice Marina Petruzzella, ritenuta magistrata intransigente, dura, rigorosa. Ma nemmeno lei si è lasciata convincere dall’ipotesi sostenuta dai pm Antonio Di Matteo, Vittorio Teresi e Francesco Del Bene che l’ex ministro, come altri, abbia tramato per favorire addirittura Totò Riina e trattare sul cosiddetto «papello», la lista delle richieste di Cosa nostra, a cominciare dall’alleggerimento del carcere duro. Per questo scenario sono ancora in corte di assise l’ex generale Antonio Subranni, il colonnello Mauro Obinu, accanto a boss come Riina e Bagarella, Antonino Cinà e il pentito Giovanni Brusca.
Mannino ha commentato con amara soddisfazione «la fine di un calvario, subito senza lo straccio di una prova». Per i pm c’è uno scenario preoccupante, come già l’anno scorso aveva sostenuto Del Bene: «È un momento difficilissimo perché questo processo non è voluto da tutti, specie dai rappresentanti dello Stato». Frasi pesanti che alimentarono la polemica politica. Mentre respinge l’idea di una trama esterna un avvocato di lungo corso nel vecchio Pci, Nino Caleca, in difesa di Mannino con Grazia Volo e Federico Grosso, pronto a sposare i dubbi di docenti come Giovanni Fiandaca e Giuseppe Lupo: «I processi penali non sono i luoghi più adatti a ricostruire la Storia. Si fanno con i fatti e per accertare precise condotte penali».