Il Sole 24 Ore, 4 novembre 2015
Telecom Italia e Tim Brasil, l’anello di congiunzione tra il francese Xavier Niel e il russo Mikhail Fridman ha un nome e un cognome: Jeremie Berrebi
C’è un collegamento tra l’offensiva di Mikhail Fridman su Tim Brasil e quella di Xavier Niel su Telecom Italia? Le coincidenze sono più d’una, tanto da far pensare che si tratti di tanti tasselli di un unico puzzle. Dove uno, coincidenza curiosa, ha il nome e cognome di Jeremie Berrebi. Ma andiamo con ordine. Le due iniziative, nella tempistica, sono pressochè contemporanee. La scalata virtuale del patron di Iliad è stata preparata accuratamente, per restare sotto traccia, partendo da fine agosto per arrivare – almeno per la prima tranche del 15,1% – pochi giorni fa, prima della comunicazione ufficiale alla Consob.
L’ingresso sulla scena brasiliana del magnate russo Fridman, che tra l’altro controlla Vimpelcom e quindi Wind in Italia, è invece della prima metà di ottobre, quando il board di Telecom Italia era in trasferta a Rio de Janiero. Prima di rendere ufficiale la disponibilità a sostenere il malmesso campione nazionale Oi, con un assegno fino a 4 miliardi di dollari, purché si celebrassero le nozze con Tim Brasil, Fridman si era fatto avanti direttamente con Telecom Italia, con un’offerta giudicata «irricevibile», tanto che alla cosa non era stato dato alcun seguito. Cosa c’era di tanto irricevibile? Con una fusione tra Oi e Tim, nei termini proposti, il bastone del comando sarebbe stato in mano al russo, che avrebbe avuto la quota di maggioranza, più del 40%, rispetto al 35-36% di Telecom Italia. Forse non è un caso che, out of the blue, le agenzie internazionali tornino a ribadire oggi quanto già stato detto e scritto dai media qualche settimana fa e cioè che Telecom considererà solo ipotesi di consolidamento dove possa avere la maggioranza del 51%.
Oltre alla tempistica – come mai proprio ora tutti a volteggiare intorno a Telecom? – c’è il fatto che sia Fridman che Niel, pur disponendo di attività nel campo delle telecomunicazioni (Vimpelcom-Wind e Iliad-Free più altre partecipazioni sparse), si sono mossi in proprio con le loro società di investimento, LetterOne da una parte e Rock Investment dall’altra. Perché? Forse per dribblare l’Antitrust?
Ma la coincidenza che, per chi non crede al caso, è veramente curiosa è questa. C’è un anello di congiunzione tra i due fronti che ha nome e cognome: Jeremie Berrebi. Berrebi, come risulta dal curriculum pubblicato sul suo sito (www.berrebi.org), fino a maggio di quest’anno lavorava in Kima Ventures, un incubatore di start up che il finanziere francese ha co-fondato con Xavier Niel, tuttora proprietario del fondo di venture capital. A maggio Berrebi ha lasciato Kima per spostarsi in LetterOne, il braccio finanziario di Fridman che si è mosso in Brasile, dove siede nell’advisory board. Solo coincidenze? Può darsi, ma sono in molti a sospettare appunto che si tratti di due tasselli, non i soli, di un unico puzzle.
Chi lavora coi derivati da una vita, sostiene inoltre che mai e poi mai un finanziere si prenderebbe il rischio di una scalata con le opzioni senza essere sufficientemente certo di arrivare alla meta. Possibile che due francesi si sfidino sul territorio italiano, senza avere un puntello “domestico”? Vivendi ha Mediobanca. e questo è noto visto che il suo presidente Vincent Bolloré è in proprio il secondo maggior azionista della prima banca d’affari tricolore, e magari avrebbe puntato grazie alle sue entrature in Italia a officiare le nozze con Telefonica, previa uscita di Telecom dal Sud-America, dove i due gruppi sono concorrenti, per dar vita a una maxi-entità di tlc e contenuti. Niel invece – ma questa potrebbe essere davvero solo una coincidenza – ha come gestore personale delle sue finanze Olivier Rosenfeld, ex cfo di Iliad (società di cui è stato anche consigliere indipendente fino al 2013) – che conosce bene Claudio Costamagna, presidente di Cdp dalla scorsa estate, per aver lavorato insieme in Goldman Sachs.
Se ci fosse davvero un legame tra le apparenti coincidenze, l’unico modo per soddisfare le aspettative di tutti gli attori del piano superiore – non certo le ambizioni industriali di Telecom al piano inferiore- sarebbe quello di promuovere un grande spezzatino dell’incumbent tricolore, dove la rete in un modo o nell’altro tornerebbe allo Stato. C’è una sola nota stonata in questo scenario: questo è quello che il presidente Telecom Giuseppe Recchi può considerare un’iniziativa «amichevole», come ha dichiarato in un’intervista subito dopo aver incontrato Niel?