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 2015  novembre 04 Mercoledì calendario

Bernardino Leon, inviato dell’Onu in Libia, non sarà sostituito finché Tripoli e Tobruk non avranno firmato un accordo

In Libia, all’anarchia sul terreno corrisponde un discreto caos attorno al tentativo condotto dall’inviato Onu Bernardino Leon di dare un governo unitario al Paese, ricongiungendo la Tripolitania islamista con la Cirenaica filo-occidentale. Si attende che Leon compia l’ultimo miglio, e la cosa più incerta sono i tempi. Leon ha fatto sapere che non lascerà la trattativa – il suo mandato è formalmente scaduto – finché non strapperà una firma dell’accordo. Il Parlamento di Tobruk (riconosciuto dalla comunità internazionale) ieri e l’altroieri aveva in agenda proprio l’esame della bozza d’accordo, 19 cartelle già modificate in extremis per tranquillizzare il capo delle forze armate, il generale Haftar di cui in quel documento è prescritta l’uscita di scena, con un Consiglio presidenziale esteso a 9 membri. Ma siccome l’accordo non si trova, ieri la bozza è stata riassunta in un documento che verrà sottoposto alla firma: se ne cercano almeno 70. Una firma invece di un voto, con tutto quel che questo significa. Poiché si sa già che a Tripoli ci sarà il via libera solo di una parte del Consiglio generale, il rischio è che il mandato politico con il quale poi si cercherà di stabilizzare la Libia sarà troppo debole. Una fragilità che si riverbererà inevitabilmente in Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite quando si tratterà di varare la risoluzione che, su richiesta del nuovo governo libico, dovrebbe rendere possibile un intervento di «peace-enforcing» a guida italiana. Per l’Italia, comunque vada, il rischio-Libia è altissimo. A Tripoli, due giorni fa, il corrispondente del britannico «Telegraph» ha raccolto minacce di «invasione di migranti» sulle coste europee. Ma se si arrivasse davvero a un intervento militare per l’Italia potrebbe essere anche peggio. Saremmo in prima linea, e per pacificare la Libia non bastano certo i 500 uomini da insediare nei centri urbani a controllo delle milizie locali, come si progettava qualche tempo fa alla Difesa. Fonti qualificate valutano almeno in 50-60 mila le forze necessarie sul terreno. Perché oltre alle ostilità politiche e sociali, la Libia è terreno di guerriglia, gruppi armati e violenze di ogni genere. E perché a Sirte c’è l’Isis.
(Antonella Rampino)