Corriere della Sera, 4 novembre 2015
Può un veterinario essere anche un cacciatore? La foto del torinese che quattro anni fa ammazzò un leone e si mise in posa vicino alla carcassa
TORINO Già lo chiamano il Walter Palmer del Piemonte e lo paragonano, la similitudine appare calzante, al dentista statunitense che nel luglio scorso uccise, durante una battuta di caccia, il leone Cecil nel parco Hawange dello Zimbabwe. Un trofeo esibito e che ha suscitato l’indignazione e le proteste non solo degli animalisti. Il Palmer di casa nostra è un veterinario cinquantenne di Caluso (Torino) che non gradisce il paragone, perché la sua sarebbe «tutta un’altra storia». Gli elementi che legano le due vicende, però, sono almeno due: la carcassa del grande felino e le minacce che hanno raggiunto entrambi i cacciatori.
Il veterinario si chiama Luciano Ponzetto e la fotografia che lo vede sorridente accanto alla preda uccisa («In Africa, quattro anni fa»), pubblicata sui social da un gruppo animalista della zona dove lui vive, ha attirato migliaia di commenti, ovviamente quasi tutti di condanna e di perplessità su come un veterinario «possa essere al contempo un cacciatore». Qualche internauta ha anche pubblicato il testo del giuramento che i veterinari prestano prima di essere ammessi all’albo: «Entrando a far parte della professione e consapevole dell’importanza dell’atto che compio, prometto solennemente di dedicare le mie competenze e le mie capacità alla protezione della salute dell’uomo, alla cura e al benessere degli animali...».
Non si contano i post che chiedono l’espulsione del veterinario piemontese dall’albo professionale. Lui si difende e più del paragone con Palmer, preferisce quello con il prevosto di Lusigliè, l’ecclesiastico finito qualche settimana fa nel mirino degli ambientalisti perché cacciatore e sospettato di pagare la licenza di caccia con i soldi della questua. Accusa, quest’ultima, risultata completamente infondata. Ma anche tra i cacciatori c’è chi obietta: «Il sacerdote non si è mai messo in bella mostra accanto alle sue prede».
Ieri Ponzetto, visibilmente preoccupato per una notorietà di cui avrebbe fatto volentieri a meno, si è recato dai carabinieri per denunciare minacce di morte che avrebbe ricevuto sia sul web che al telefono. «Io esercito una professione – dice – e nel mio lavoro sono stimato. Non sono pochi gli ambientalisti, compresi alcuni che oggi mi insultano, che portano i loro animali da me, perché io li curo bene. D’altra parte ho la passione per la caccia. Vivevo in campagna, mio nonno era un cacciatore, così mio padre. Da loro ho ereditato anche questo». Il veterinario sottolinea come, dal suo punto di vista, «sia assolutamente lecito praticare un lavoro come il suo e, contemporaneamente, esercitare un’attività sportiva regolata dalle leggi». Nonostante le sue capacità, però, Ponzetto teme che «tutto questo polverone possa nuocere alla mia professione e per evitarlo sono pronto ad andare in Tribunale».
Quelle foto, tuttavia, che lo ritraggono con il fucile tra le braccia e la belva morta accanto, stridono nell’immaginario collettivo, da tempo incline a schierarsi dalla parte della preda anziché da quella del cacciatore. «Quell’immagine – dice – era stata pubblicata su un sito di un club internazionale di appassionati di safari al quale io sono iscritto. Io non me ne sono mai fatto un vanto. Una foto, tra centinaia di altre, che documenta le attività del club e che è stata presa e fatta circolare solo per danneggiarmi». Ponzetto, però, giura che non è vero che sono tutti contro di lui: «Su Internet i commenti sono contrari, ma non le dico il numero di persone che in queste ore mi hanno telefonato per esprimermi solidarietà. Sono persone che preferiscono parlare con me piuttosto che scrivere sul web commenti che possono esporli a critiche feroci e minacce».
Ma come Palmer negli Usa non è stato condannato, così Ponzetto difficilmente subirà censure da parte del suo ordine professionale. «Per forza – conclude Ponzetto – non penserete mica che io sia l’unico veterinario appassionato cacciatore?».