La Gazzetta dello Sport, 3 novembre 2015
Quant’è brutta l’erba della Serie A. I campi di calcio del nostro campionato sono in condizioni pessime. Allenatori e giocatori si lamentano. Che fare?
Il 21 agosto, sulla pagina Facebook del Genoa è comparso il timelapse di un’estate di lavori. Centocinquanta secondi di video per smantellare un campo che già negli anni scorsi aveva fatto infuriare gli allenatori, stendere una nuova base, nuovi rotoli d’erba, seminare e attendere. «Alla vista, un colpo d’occhio spettacolare», ma non andatelo a dire a Maurizio Sarri, che domenica a Genova ha trovato nel terreno di Marassi uno dei colpevoli per la mancata vittoria del Napoli. «Non si poteva giocare di prima». L’allenatore, spalleggiato anche dal suo portiere, Pepe Reina, con una frase ha avuto l’effetto di spaccare una città, che in estate si era unita per mettere fine (viste le polemiche, solo parzialmente) a un problema che ogni anno si ripete come il Natale. D’accordo il presidente avversario («Nonostante gli investimenti non si riesce a renderlo decente», le parole di Preziosi), contrari Gasperini («Di questi tempi si vede di peggio») e Ferrero, non coinvolto direttamente («Pensavo che Sarri fosse diverso, invece usa le solite scuse: abbiamo investito un milione e mezzo»).
Dall’alto, le condizioni del campo di Marassi non sembravano neppure così male, ma mai fidarsi delle apparenze: il sistema scelto con erba naturale rinforzata non ha funzionato, sembrerebbe – dicono gli esperti – per colpa di un manto adatto per temperature primaverili ed estive, molto meno quando inizia a fare più freddo. Oggi pomeriggio, a Genova arriverà Giovanni Castelli, agronomo della Lega Calcio, ma senza bacchetta magica: una visita già programmata, prima di Genoa-Napoli. E nel calendario dei sopralluoghi negli stadi di Serie A, domani Castelli sarà proprio al San Paolo, un altro dei campi di cui Sarri si sarebbe voluto lamentare, «prima di aver visto quello di Genova». Poi, nell’ordine, Frosinone e l’Olimpico di Torino: un giro d’Italia che si ripete – anche questo – ogni anno a ridosso della sosta di novembre per mettere a punto le strategie di mantenimento dei campi in vista dell’inverno. Il Sistema Licenze Nazionali della Lega di Serie A, tra i criteri infrastrutturali, al punto 3 dell’allegato A, pone l’obbligo – a nord di Napoli – di avere un sistema di riscaldamento del prato: sono concesse deroghe alle società neopromosse (ma a Modena, dove gioca il Carpi, è già presente, Bologna e Frosinone dovranno adeguarsi) o nelle città in cui «si può ragionevolmente escludere che, per le condizioni complessive del manto, la capacità di drenaggio, l’abituale stato manutentivo, l’analisi storica dei dati metereologici delle ultime cinque stagioni e la frequenza di episodi di sospensione o annullamento delle gare, ricorrano i presupposti per l’adozione dei sistemi di riscaldamento del terreno». Eppure, la Serie A è e sarà ancora piena di scontenti.
Si è lamentato anche Eusebio Di Francesco dopo Udinese-Sassuolo, nonostante la temperatura percepita al sole del Friuli fosse vicina ai 20 gradi: «Lo stadio è bellissimo, ma il campo è indecente». Non poteva essere un problema di gelo, ma piuttosto di materiali, imperizia, investimenti ridotti o – in alcuni casi – poco lungimiranti. Lo Juventus Stadium, ultimamente, ha dato qualche piccolo segno di cedimento; a Roma, a causa della copertura che provoca una diversa esposizione alla luce, l’area sotto la curva Sud viene rizollata ogni inverno. Ma non c’è stadio, Dall’Ara a parte, a non essere stato rinnovato nel terreno di gioco negli ultimi tre anni. Cinque (oltre Genova, anche Milano, Verona, Modena e Reggio Emilia), mescolano erba naturale a erba sintetica, verde come la vernice che si usava negli anni scorsi per avere un miglior effetto televisivo: a San Siro, anche in attesa della finale di Champions, il problema è stato risolto, a Reggio Emilia e soprattutto a Verona la situazione si è assestata dopo qualche mugugno iniziale della Roma e del «solito» Napoli. Da qui a Natale, Sarri in trasferta giocherà sempre all’ora di pranzo (a Bologna) o alle 15 (a Verona e Bergamo): tutti i campi potranno sfruttare due settimane di sosta per rifarsi il look, ma non è detto che ci riescano. A Genova, non è bastata un’estate.