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 2015  novembre 03 Martedì calendario

Da Primo Levi a Paolo Giordano, da Jack Kerouac a Lalla Romano: il fondamentale ruolo dell’"editor" nella pubblicazione di un libro

Un luogo comune recita che la storia non si fa con i se e con i ma. Nel lavoro editoriale, nella letteratura, spesso è vero il contrario. Se Primo Levi non avesse incontrato nel 1947 Alessandro Galante Garrone, storico e magistrato, il “mite giacobino” della Resistenza, e poi Franco Antonicelli, altra figura luminosa dell’antifascismo e della cultura, probabilmente Se questo è un uomo sarebbe rimasto in un cassetto. Rifiutato dall’Einaudi, il testo del chimico torinese deportato ad Auschwitz fu apprezzato da Galante Garrone, che in una lettera del 28 maggio 1947 lo raccomandò ad Antonicelli, che aveva riaperto la casa editrice De Silva. “Puoi dirmi presto qualcosa?”, gli scrisse. “Se a ‘De Silva’ non interessasse, ci si rivolgerebbe altrove. Ma io spero (e sarei molto contento) che la tua casa editrice vorrà pubblicare quest’opera”. Antonicelli mantenne la parola.
Anche Jack Kerouac, se non avesse conosciuto il critico letterario Malcolm Cowley, forse si sarebbe scoraggiato, e il suo On the Road, cioè Sulla strada, non sarebbe stato stampato. Grazie a quest’ultimo e a Keith Jennison, una editor della Viking Press, il romanzo della Beat Generation, più volte riscritto, il 5 settembre 1957 arrivò negli scaffali delle librerie americane. Il titolo, quell’On the Road, era stato suggerito da Cowley, al posto di The Beat Generation indicato dal romanziere.
Le storie rievocate sono due dei dodici casi letterari esaminati dalle studentesse e dagli studenti del master di primo livello in “Professioni e prodotti dell’editoria” del Collegio Santa Caterina dell’Università di Pavia, che li hanno indagati per mettere a fuoco il rapporto tra scrittori ed editing. Ne è nato il volume Correggimi se sbaglio. I retroscena tra autori ed editor. Appena pubblicato dalle Edizioni Santa Caterina (pagg. 212, euro 18), esce con una prefazione di Benedetta Centovalli dedicata a Grazia Cherchi, che “è stata un esempio per tutti quelli della mia generazione che hanno intrapreso la strada del lavoro editoriale”.
Le vicende dei libri di Primo Levi e di Kerouac, ripercorse da Barbara Ottin Bocat e da Melissa Minò, fanno scuola. Non meno significative sono quelle che svelano in che modo si è giunti a pubblicare i romanzi di narratrici e di narratori come Lalla Romano, Natalia Ginzburg (il Lessico famigliare), Stefano d’Arrigo, Francesco Biamonti, Maurizio Maggiani, Paolo Giordano, Chiara Gamberale, Jack London (Il richiamo della foresta), Howard Phillips Lovecraft (con l’editing dei suoi libri dopo la sua morte) e Roald Dahl.
Lavoro oscuro, dietro le quinte, il mestiere degli editor, rammentava Grazia Cherchi, non deve essere identificato in una attività da ghost writer o da coautore, bensì da “lettori competenti e fidati al servizio di chi scrive e non degli editori”. Certe volte, come ricostruisce Cinzia Crinò nel percorso editoriale de La solitudine dei numeri primi di Giordano, la bravura dell’editor ha servito alla perfezione l’autore e l’editore. A cominciare dal titolo, scelto da Antonio Franchini, l’editor, che in un’intervista ha spiegato che il “titolo sta sempre dentro il libro, solo che l’autore non se ne accorge”. E per continuare con l’immagine di copertina. Giordano l’aveva immaginata “molto inumana, scura, notturna, anche più inquietante”. Alla Mondadori hanno optato per l’autoscatto di una ragazza olandese, che l’aveva inserita in un profilo su Internet. Non “c’è nessun vero legame col testo”, ha detto l’art director Giacomo Callo, “ma ci è piaciuta troppo come immagine e non potevamo lasciarla andare”.
In occasione dell’uscita del romanzo Le luci nelle case degli altri, come rammenta Laura Febo nel capitolo su Chiara Gamberale, la scrittrice romana ha dichiarato che la “squadra della Mondadori è stata davvero un valore aggiuntivo”, dalla “editor che lo ha seguito, Laura Cerutti, all’ufficio grafico”. Diversamente la pensava, almeno per qualche tempo, Lalla Romano, all’epoca della pubblicazione da Einaudi di Maria, nel 1953, nella collana vittoriniana dei “Gettoni”.
La saggista Isabella Saya narra che, dopo avere tentato di inserire il libro nella collana dei “Coralli”, la Romano capitolò, chiedendo però un risvolto di copertina di Elio Vittorini. L’autore di Uomini e no rispose con ironia in una lettera a Calvino: “La Romano vorrebbe una fascetta con la mia firma. Si può trarla fuori dalla presentazione. Ma di poche parole, per piacere. Poverina, è ancora scottata di come la critica, l’altra volta, la sbrigò di sottogamba. (…) E vorrebbe proprio avere, stavolta, un segno distintivo sotto forma di fascetta”.
Difficile dire se August Derleth, come ricorda Daniele Baroni, fece più male che bene pubblicando le opere di Lovecraft dopo la sua morte, avvenuta nel 1937. Di sicuro ci fu una colpa: “Quella di modificare dal punto di vista ideologico la famosissima mitologia degli antichi dèi del ciclo di Cthulhu”. Il rapporto non fu “alchemico” come sembra essere stato, invece, quello fra la Gamberale e la Mondadori.