La Stampa, 3 novembre 2015
Ritratto di Bagheria e dei commercianti del corso, che a domanda sul pizzo rispondono: «Non ne so niente»
Bisogna venire qui, a Villa Valguarnera, per capire Bagheria. Le ombre e le luci, le contraddizioni spinte fino al paradosso. È qui, nella dimora settecentesca decantata da Goethe e da Stendhal, che la rivolta anti-racket appare tutt’al più un piccolo segnale di speranza. Non certo la rottura del muro dell’omertà, non certo la svolta, non certo il sole che sorge – come commenta a caldo il sindaco Cinquestelle Patrizio Cinque dicendo «vaffanculo alla mafia e all’antimafia» – né tantomeno «la vittoria delle associazioni di categoria e anti-racket», come dichiarano i vertici palermitani di Confcommercio e di Confindustria con retorica legalitaria ormai appannata: l’una fino a pochi mesi fa era guidata da Roberto Helg ora agli arresti domiciliari per mazzette, l’altra vede il presidente regionale Antonello Montante indagato per mafia. Di certo, come da copione, i commercianti del corso fanno spallucce e farfugliano parole: «Pizzo? Non ne so niente».
Sì, bisogna venire qui, dove a luglio scorso è morto a 95 anni Francesco Alliata, XIV principe di Villafranca e del Sacro Romano Impero, fondatore della mitica casa cinematografica Panaria film, per cercare di capire Bagheria. La città delle ville meravigliose sommerse dal cemento, la città costruita come un’Arcadia e diventata dormitorio di Palermo, la città dove magnifici archi e volute barocche svettano sopra un mare di palazzine costruite a dispetto di ogni piano regolatore. Perché è qui, in due villette abusive costruite all’interno del parco della villa tutelato sin dal 1913 che – secondo il pentito Siino – il boss Bernardo Provenzano si è nascosto per anni, sotto l’ala protettrice dei fedelissimi Gino Di Salvo e Sergio Flamia.
È qui che queste villette sono cresciute, insieme con una scuola intitolata – povero lui – ad Antonio Gramsci, insieme con strade luci cartelli impianti tubature, senza che nessuno muovesse un dito, senza che gli allarmi del principe e della figlia Vittoria Alliata – traduttrice, islamista, cugina di Dacia Maraini – fossero raccolti da un’autorità che fosse una. Flamia è proprio colui che ha parlato e ha dato il via al gioco di birilli che, uno dopo l’altro, ha convinto i primi tre imprenditori e poi gli altri a parlare. «Mio padre è morto da prigioniero politico, prigioniero della burocrazia e del malaffare», dice amara la principessa.
Bagheria, simbolo di tutto e il contrario di tutto. Patria di Renato Guttuso, di Giuseppe Tornatore, di Ignazio Buttitta, della Maraini. Bagheria dove si erge la palazzina rosa di Villa Santa Teresa, il centro diagnostico (oggi in amministrazione giudiziaria) realizzato da Michele Aiello, l’imprenditore edile condannato per mafia e considerato prestanome di Provenzano. Colui che avrebbe incontrato Totò Cuffaro nel retrobottega di un negozio di abbigliamento proprio qui vicino, per concordare il nuovo tariffario regionale delle prestazioni sanitarie. «La mafia fa schifo», aveva declamato Cuffaro pochi mesi prima da cartelloni elettorali appesi in tutta la città. Bagheria dove pure il cimitero l’anno scorso fu messo a ferro e a fuoco, con bare accatastate e bruciate, per dare un avvertimento all’agenzia di pompe funebri. Che non «si allargasse» oltre ai suoi confini.
Ma è sempre Bagheria la città dove negli anni Settanta un maestro elementare omosessuale, Giuseppe Di Salvo – stesso cognome del boss, altre scelte e destino – vinse la sua battaglia contro i genitori dei bambini e restò in classe. Oggi la prima cosa che vedi uscendo dallo svincolo dell’autostrada, è un carretto che vende «specialità», come è scritto su un cartello. Ti avvicini e sono gabbiette di metallo. «Gabbie per topi, non se ne salva uno», spiega l’anziano che le fabbrica. Poco più in là c’è il mitico don Ciccio, il tempio dei buongustai, che ancora usa offrire ad apertura di pranzo l’uovo sodo e il bicchierino di marsala che un tempo si dava ai carrettieri di passaggio. E sembra, questa, l’unica certezza di una terra incomprensibile.