la Repubblica, 3 novembre 2015
Adolescenti. Come si fa a pesare 105 chili avendo solo 14 anni. Storia di Giulio, che dovendo mangiare pasta o riso, mangiava pasta e riso. Alla fine gli hanno tagliato mezzo stomaco
Un cucchiaio di Nutella dopo l’altro, non è poi così difficile arrivare a pesare 105 chili a 14 anni. E Giulio, di Nutella, ma soprattutto di dolci preparati da due genitori ottimi cuochi, è arrivato a finirne davvero tanti. «La mattina si alzava e non diceva buongiorno, ma “ho fame”. Di ogni piatto prendeva due porzioni. Il pellegrinaggio al frigo era continuo, e così le lamentele: in questa casa non c’è mai niente da mangiare», racconta la madre.
Giulio è un nome di fantasia, ma il ragazzo è in carne ed ossa davanti a noi, dopo un’odissea di disagio e chili presi a decine, dopo mille tentativi andati a vuoto. E dopo un intervento di chirurgia (bariatrica) che gli ha tagliato via più di metà stomaco. Una soluzione estrema, Irreversibile. Della quale non si possono ora prevedere gli effetti collaterali a lungo termine. Così estrema che impone una riflessione: quali sono stati gli errori che hanno portato Giulio all’obesità già nell’infanzia? Perché il cibo a poco a poco si è infiltrato nella sua vita e ha finito per occuparla tutta, come una spirale che va fuori controllo gradualmente?
«Quando è nato, mio figlio non pesava neanche tre chili. Fino alla prima elementare era nella norma. Poi ha iniziato a prendere peso, anche perché soffriva di dislessia ed era molto chiuso in se stesso». I genitori l’hanno messo a stecchetto. «Lui andava a cercarsi qualunque cosa». L’hanno portato in un grande ospedale perché gli fosse prescritta una dieta. «Se c’era scritto che poteva mangiare pasta o riso, lui mangiava pasta e riso. Il suo pomeriggio, dopo la scuola, era fatto di pranzo, merenda, poi ancora merenda, cena e dopocena. Aveva sempre fame. Mangiava di tutto. In casa non lasciava neanche le briciole».
Fino a che non è arrivato all’ospedale pediatrico Bambino Gesù, a Roma. Dove entra in scena uno psicologo per almeno un anno. «Gli chiedevano se avesse uno sport preferito. Divaning, rideva lui». Con le sue doti di ironia e simpatia, Giulio è riuscito a scansare le elefantiache difficoltà psicologiche di un preadolescente di taglia XXXXL. «Non sembrava soffrirne – conferma la madre – si era convinto che la sua vita consistesse nel mangiare e che fosse inutile combattere». Con una progressione che è tipica dei casi di obesità infantile, Giulio aveva rinunciato a fare movimento e perfino a uscire con gli amici. Salire le scale era diventata un’impresa e camminare, anche lentamente, fonte di affanno. Al Bambino Gesù hanno provato a mettergli un palloncino nello stomaco, e lui ha risposto prendendo altri 17 chili. È stato necessario, a febbraio di quest’anno, ridurre le dimensioni del suo stomaco con un intervento chirurgico chiamato “sleeve gastrectomy”. Oggi il ragazzo pesa 61 chili, ma a volte soffre di cali di zuccheri e mancanza di forze. Va in palestra, esce con gli amici, sbircia sempre nel frigo e poi, con la solita ironia, lo richiude: «Tanto non posso mangiare niente».
Per Francesco De Peppo, il chirurgo del Bambino Gesù che l’ha operato, Giulio è un paziente tipico. «A 6-7 anni si mettono su i primi chili, poi l’aumento diventa esponenziale. I ragazzi smettono di fare movimento e finiscono col fare i pendolari fra divano, computer e frigo». Alla chirurgia i giovanissimi arrivano solo dopo anni di tentativi con la dieta e una batteria di test per escludere quei rari casi in cui l’obesità è causata da sindromi genetiche od ormonali. La terapia psicologica o comportamentale serve a capire quanto percepiscano l’anomalia del proprio corpo, o perché non riescano a rispettare le regole. «Ma spesso non c’è una causa precisa – commenta De Peppo – È come per i fumatori. Sanno benissimo quali rischi corrono, ma il loro rapporto con la sigaretta o con il cibo è inscalfibile. E nell’adolescenza, con la ribellione fisiologica, intervenire diventa difficile». I buoni propositi, per questi ragazzi, durano un paio di giorni. L’idea di dover perdere 50 chili schiaccia ogni forza di volontà, e anche i genitori finiscono con il perdere la voglia di agire. Non quelli di Giulio, però: «Oggi nostro figlio continua a dimagrire. E noi continuiamo a combattere, come abbiamo fatto sempre».