Il Sole 24 Ore, 31 ottobre 2015
Se Londra lascia l’Ue dovrà dire addio alla tripla AAA. Dopo quarant’anni di rispettabile servizio
AAA, addio? La minaccia dalle agenzie di rating aleggia sul Regno Unito e permette di quantificare il costo immediato del Brexit. I conti della Non Europa per Londra sono un rebus dalle numerose variabili, ma Standard&Poor’s annunciando il downgrade britannico in caso di “no” al referendum sull’adesione alla Ue, offre un appiglio realistico. L’addio alla tripla AAA dopo quarant’anni di rispettabile servizio avrebbe ricadute dirette sul costo del debito e potrebbe essere dolorosissimo se, come ipotizza S&P, il rating scivolasse fino a due “notches” in meno di oggi. L’agenzia Usa prevede il downgrade di un solo “scalino” in caso di esito negativo del voto, ma la penalizzazione sarebbe doppia se le relazioni Londra-Bruxelles nel negoziato successivo all’uscita si facessero complesse. Il prezzo di un’autoesclusione dalla Ue è stato ulteriormente alzato dal dipartimento del Commercio Usa che ha confermato la più diretta conseguenza nelle relazioni anglo-americane: fuori dalla Ue Londra perderebbe la condizione di favore di cui gode nei rapporti commerciali, ritrovandosi soggetta a dazi simili a quelli di India e Brasile.
Gli altolà Usa sono giunti nelle stesse ore in cui prende corpo il piano britannico per un nuovo deal con Bruxelles. Non è un caso che dettagli filtrino ora, a pochi giorni dalla presentazione dei desiderata di Downing Street: è il procedere tipico della comunicazione politica nel Regno Unito dove le fughe di notizie pilotate servono a testare la reazione popolare. Il Financial Times ha svelato quali tutele cerca Londra per ripararsi dalle conseguenze dell’integrazione nell’area euro. Gli interessi economici dei Paesi membri dell’Ue, ma non dell’euro, dovranno – secondo Ft – essere protetti da “freni d’emergenza”, da meccanismi capaci di tutelare le capitali che non condividono la moneta unica. Come ? Rallentando gli eventuali passaggi automatici dell’eurointegrazione qualora questi sbattessero con il mercato interno. Non un veto dunque – ipotesi irrealistica-, ma un sistema che consenta approfondite trattative, portando fin sul tavolo dei capi di governo gli eventuali conflitti fra l’interesse dei Paesi dell’Eurozona e i semplici partner Ue. La via per incatenare in un’intesa europea l’esigenza britannica di “protezione” passerebbe dal rilancio del cosiddetto compromesso di Ioannina, formulato nel 1994 e riveduto successivamente che appare come la base per le eventuali tutele politiche di chi non partecipa all’euro. Un edificio normativo tutto da costruire, ma che per Londra rappresenterebbe la radice del compromesso.
La Gran Bretagna chiede poi il riconoscimento del mercato interno come area a divisa multipla, impedendo così la cosiddetta “discriminazione” della sterlina. È un riferimento alla lite lungo l’asse Londra-Bruxelles-Francoforte sulla “residenza” delle clearing houses che operano in euro. Se istituzioni finanziarie del genere fossero obbligate – ma per ora è stato escluso dai giudici Ue – ad aver sede nell’area euro, Londra cesserebbe di essere la capitale finanziaria dell’Unione.