il Fatto Quotidiano, 31 ottobre 2015
Il gioco dell’oca della Metro C. A forza di prende i soldi da una parte per poi metterli dall’altra, Chicco Testa ha fatto un danno da 6,7 milioni di euro
Nomen omen, Chicco Testa è una testa pensante della nuova avanguardia renziana, con una rubrica politicamente scorretta sull’Unità. Un kamikaze pronto a essere più lealista del giovane re di Palazzo Chigi. Bene. Dall’altro giorno il kamikaze Testa è imputato nel processo che la Corte dei conti del Lazio farà, dal prossimo giugno, allo scandaloso “gioco dell’oca” della Metro C, immensa incompiuta della Capitale che dagli iniziali 2,2 miliardi di euro di costi arriverà ai 3,7 stimati dall’Anticorruzione di Raffaele Cantone. Gioco dell’oca perché si prendevano i soldi da una parte e si mettevano da un’altra. Da presidente di Roma Metropolitane, dal 2005 al 2008, risponde di un danno alle casse pubbliche di ben 6,7 milioni di euro. Secondo i magistrati contabili, in tutto, sono oltre venti le varianti illegittime fatte per lievitare i costi. Un danno totale, per gli 11 imputati, di oltre 135 milioni.
Testa è diventato renzianissimo dopo aver attraversato tutte le correnti più riformiste del postcomunismo, da Rutelli a Veltroni. Due mesi fa era tra i firmatari dell’appello a Renzi fatto a pagamento sul Corriere della Sera da 209 imprenditori del Nord. Un ringraziamento più che un appello. Spiegato poi dallo stesso Testa sull’Unità. Viva Renzi perché vuole una politica che non “vive di rendita, né di commistioni con la spesa pubblica”, con l’immancabile invito “a schiacciare la tavoletta dell’acceleratore”. Quasi un controsenso rispetto alle accuse della Corte dei conti.
Francesco Storace lo inchiodò con una formidabile battuta: “Noto turista nello spettacolare pianeta Casta”. Perché tra salotti luccicanti, donne e relazioni trasversali, il neoimputato “Chicco”, che ha la querela pronta se si invertono nomignolo e cognome con in mezzo “di”, si regge a galla da 35 anni, non proprio un curriculum da amante della rottamazione. Fu ecologista talebano di Legambiente, con tanto di campagna referendaria antinucleare nel 1987, salvo poi convertirsi e propugnare centrali a volontà e cibi geneticamente modificati. Deputato due volte, prima comunista poi Pds, rimasto senza seggio nel 1994 andò a presiedere l’Acea a Roma. A nominarlo il sindaco Francesco Rutelli, suo amico e compagno di doppio a tennis. Le municipalizzate della Capitale lo hanno visto a lungo protagonista.
Nei suoi attuali interessi energetici, da manager con mezza dozzina di presidenze private, fu decisiva la promozione a presidente dell’Enel, nel 1996. A volerlo a Roma Metropolitane, nel 2005, fu invece Walter Veltroni, altro sindaco e altro suo amico. Da renziano, adesso, ha uno strettissimo legame con Marco Carrai, il lato silente e invisibile del premier, tra soldi e cene. Testa e Carrai sono soci nella C&T Crossmedia che si occupa anche di videoguide nei musei. Il renzismo in salsa testiana è molto spinto. A partire dall’idiosincrasia paraberlusconiana per i magistrati: Testa è a favore della separazione delle carriere e la sua attuale compagna, Annalisa Chirico, fa la garantista su alcune testate dell’ex Cavaliere. Amante della bella vita, ha lo stesso ombrellone da decenni all’Ultima Spiaggia di Capalbio pur non essendo un radical chic. Anzi. A Testa di sinistra è rimasto poco o nulla, come del resto prevede la mutazione genetica del Pd. È un evergreen del politicamente scorretto, convinto che “i grillini non hanno futuro”. Però adesso ha una bella grana da risolvere.