La Gazzetta dello Sport, 1 novembre 2015
Gli All Blacks della Nuova Zelanda hanno vinto la loro terza Coppa del mondo di rugby
All Blacks campioni, All Blacks padroni. Meglio di così è difficile giocare, più di così è difficile offrire. Suprema lezione di rugby, a Twickenham. Con i Wallabies splendidi allievi e perfetti sparring partner, anche se doppiati nel punteggio (34-17). La Nuova Zelanda resta sul tetto del mondo ovale. Nessuno si era mai confermato: il «back to back» regala ai kiwi la terza Coppa in otto edizioni (Australia e Sudafrica restano a due) e spazza via ogni dubbio: quella del Paese della lunga nuvola bianca è la più grande squadra della storia. La marea nera si espande fino a raggiungere le rive europee dell’Emisfero Nord. I due precedenti trionfi, del 1987 e del 2011, erano stati ottenuti sui prati di casa. Ma questi, alla quattordicesima affermazione consecutiva nella rassegna iridata, sono All Blacks da esportazione, irriducibili, incomparabili. Capaci di vincere anche lontano dai propri confini.
SUPER FINALE La partita, degna conclusione di Inghilterra 2015 – sei settimane di riuscitissimo torneo – è spettacolo puro, come mai era stato. Con tanto di cinque mete: tre degli All Blacks, due dell’Australia. Complice una giornata serena e il campo perfettamente asciutto, il merito è di due squadre disposte a rischiare e a non snaturarsi, sebbene la posta in palio sia altissima. Mischie pressoché azzerate, solo gioco al largo e grandi corse negli spazi. Il tutto a un’intensità spaventosa e senza esclusione di colpi. Una finale da stropicciarsi gli occhi, dunque: la migliore possibile, come era stato detto. Con i vincitori più giusti: i tuttineri, dopo il successo di quattro anni fa, sotto la nuova gestione Hansen, hanno perso tre di 54 partite (!), senza mai abbandonare il primo posto nel ranking mondiale. Avrebbero abdicato solo in caso di sconfitta. Ma sarebbe stato ingeneroso: i canguri si erano imposti solo in uno degli ultimi dodici scontri diretti.
CAMBIO GENERAZIONALE È tempo di haka, insomma: adesso più che mai. Gli All Blacks ne propongono addirittura due. La prima, la Kapa o Pango, la più «violenta», con tanto di gesto di taglio delle teste, prima del via del match. La seconda, la Ka Mate, quella tradizionale, a premiazione conclusa, a mo’ di ringraziamento agli dei e di saluto ai tifosi. Anche, forse, di commiato a sei giocatori che qui dovrebbero aver concluso la carriera in Nazionale. Non sei qualsiasi: da capitan McCaw a Carter, da Conrad Smith a Nonu, da Mealamu a Woodcock. Senza di loro ci sarà da aprire una nuova pagina. Con sin d’ora nel mirino Giappone 2019 e una possibile tripletta. Prima, però, si celebri l’impresa. Firmata da un gruppo che, palla in mano, fa quel che vuole.
IL MATCH La Nuova Zelanda, che impone ritmi folli, è da subito dominante. Ma la difesa aussie, in avvio, è un muro impenetrabile. In più ci sono Pocock e Hooper, i maestri dei punti d’incontro, i ladri di palloni: attaccare contro di loro è difficile. Ma gli All Blacks sono asfissianti, tentacolari, mettono pressione e l’Australia perde presto per infortunio Douglas (al 14’) e Giteau (al 26’), il solo reduce dall’ultima finale dei Wallabies, quella persa in casa contro l’Inghilterra dodici anni fa. Al suo posto, con Ashley-Cooper a tratti secondo centro, è Beale a fungere da apertura aggiunta. Kepu placca due volte irregolarmente Carter e gli All Blacks, coi piazzati, allungano, anche se sull’azione che porta a quello del 9-3 c’è un avanti non fischiato. Il break prima dell’intervallo. Con una meta da sballo: offload di Conrad Smith per Aaron Smith che trova McCaw che passa a Milner-Skudder. Per l’ala è la sesta del Mondiale, due in meno di Savea: che coppia...
FINALE TRAVOLGENTE Il primo tempo si chiude 16-3. McCaw e compagni hanno avuto il 79% di territorio e il 71% di possesso: chiaro, no? Per l’Australia pare calata la notte: la squadra in vantaggio dopo 40’, in una finale iridata, non ha mai perso e nessuno ha mai recuperato un ritardo superiore ai 5 punti. Non bastasse, a inizio ripresa, su una magia di Sonny Bill Williams, subentrato a Conrad Smith, Nonu va in fuga per 45 metri e porta il risultato sul 21-3. Partita morta, se questi non fossero Wallabies speciali. Nigel Owens, arbitro gallese (personaggio tra i personaggi), commina un giallo a Ben Smith e la squadra di Cheika, con l’uomo in più, va in meta due volte (con Pocock e Kuridrani) e, sul 21-17, per 6’ riapre clamorosamente il discorso. Ci pensa Carter, un mostro, a chiuderlo definitivamente. Prima si inventa un drop, nient’affatto costruito, da 40 metri. Poi centra un piazzato da quasi 50. In chiusura una meta di Barrett, con partenza dai propri 22, suggella il trionfo. Il meritatissimo trionfo. All Blacks campioni, All Blacks padroni.