Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 01 Domenica calendario

Che fare di Telecom

 
Sembra una nuova puntata di una telenovela che va in onda da quasi 20 anni: la lotta per il controllo di Telecom. Il francese Niel è appena salito al 15%, mentre un altro francese, Bolloré (Vivendi), già detiene il 20%. La Consob accende il suo faro e il Governo osserva da vicino la situazione: ma non si capisce per fare cosa. A furia di mandare in onda la stessa trama non ci si è accorti che c’è stata una rivoluzione nel mondo dei media e delle comunicazioni, e le compagnie telefoniche tradizionali (le telco) sono in un declino irreversibile. A questo punto non importa chi controlli Telecom, ma che cosa si vuol fare della società per darle un futuro. La telefonia fissa è da tempo moribonda. La telefonia mobile, ex gallina dalle uova d’oro, è ora una commodity con margini sempre più risicati. Qui la rivoluzione si chiama smartphone.
Un potente computer che però possiamo utilizzare sempre e ovunque, e che ci ha cambiato la vita. La telefonata è ormai un accessorio a basso valore aggiunto: i profitti li fanno chi produce apparecchi e app. Per la telefonia tradizionale la via obbligata sono dunque le concentrazioni, come negli Usa, per tagliare i costi e ridurre il numero eccessivo di operatori in Europa.
La strategia di ingresso nei nuovi mercati per recuperare la crescita persa in Europa si è scontrata con la crisi dei paesi emergenti. Non rimane che internet, dove però i profitti finiscono in tasca di chi fornisce servizi e contenuti ( i vari Amazon, Expedia, Facebook o Alibaba), non di chi li trasporta. Così, la risposta delle telco è stata, per le imprese, di passare dalla trasmissione alla gestione dei dati (i cloud, ormai un indicatore di sviluppo digitale); per il consumatore, l’integrazione a monte con i media (film, serie, spettacoli, sport, televisione, videogiochi), sostituendosi a tutte forme di intrattenimento audiovisivo. British Telecom è già il principale concorrente di Sky in UK; come Time Warner lo è delle telco americane. Ma anche i fornitori di servizi, come Amazon, Google, HBO, hanno cominciato a produrre contenuti i propri (serie tv, film e video).
Questa dovrebbe essere la strada anche per Telecom. In primo luogo levarsi di torno il problema delle attività “strategiche”: l’unica vera è Sparkle, che gestisce il traffico internet internazionale, specie sulla dorsale Nord Africa-Medio oriente; ma è irrilevante per altri progetti. La ceda dunque alla Cassa Depositi e Prestiti: dopotutto, ha costituito un Fondo che si chiama appunto “Strategico Italiano”. Poi dovrebbe vendere il Brasile: doveva farlo anni fa, ai massimi, ora c’è la crisi, ma meglio tardi che mai; e il 100% delle torri di trasmissione a qualche fondo infrastrutturale. Per i servizi telefonici di Tim serve una fusione “strategica” per giocare un ruolo in Europa (vendere non si può dire). Sullo sviluppo del cloud alle imprese i tempi saranno lunghi per via del nanismo delle nostre imprese, e la scarsa dinamicità delle poche grandi (per esempio, le istituzioni finanziarie). A questo punto si potrebbe però concentrare, avendone le risorse, sullo sviluppo della banda veloce necessaria per trasformarsi in un grande gruppo nei media (e fornire banda e 4G agli altri operatori, non avendo più Tim). Lo sviluppo della banda per diventare un media nazionale non è ancora redditizio? C’è lo Stato pronto a finanziarla coi soldi pubblici. Mancano i contenuti. Invece di fare accordi con tutti i media (il valore è nell’esclusiva) una Telecom “ideale” potrebbe acquistare direttamente i contenuti e finanziarne la produzione (lo fa Amazon!). O anche tentare una fusione per incorporare Mediaset (risolvendole i suoi problemi nella tv a pagamento; sarebbe anche il canto del cigno di Berlusconi, prima o poi inevitabile). O magari con una Rai interamente privatizzata: pura fantascienza però, nel paese della “centralità del servizio pubblico”. Così è arrivata Vivendi, e immagino che il suo progetto sia proprio questo (fusione finale con Mediaset inclusa), replicando quanto già fatto in Francia, magari per poi aggregare le due realtà, e creare (con Spagna) una major europea sul modello americano. O quello cha sta facendo Murdoch in Europa. Vivendi è francese, e mi dispiace. Ma solo perché è un segnale del provincialismo della nostra classe dirigente, pubblica e privata, incapace di reagire ai rapidi cambiamenti globali. Nel caso di Telecom, colpevolmente miope troppo a lungo.