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 2015  ottobre 31 Sabato calendario

Il nuovo film "Freeheld", l’amore e la famiglia. Intervista a Julianne Moore

La voce è morbida e insieme squillante. Una diva da Oscar, icona del cinema indipendente americano, richiestissima a Hollywood, coraggiosa al punto da aver recitato nel 1993, diretta da Robert Altman, un infuocato monologo in cui era nuda dalla vita in giù, chiede che tempo fa a Roma e augura, alla fine della conversazione, una magnifica giornata.
Non si è stelle per caso e, meno che mai, in quello di Julianne Moore, classe 1960, premiata agli Academy Awards 2015 per Still Alice in cui interpreta una malata di Alzheimer, torna alla carica con una nuova sfida. In Freeheld (dal 5 novembre), basato su una storia vera, è la detective Laurel Hester, malata terminale di cancro, decisa a combattere con tutte le forze che le restano per garantire alla compagna Stacie Andree (Ellen Page) il diritto di riscuotere la sua pensione e quindi di continuare a vivere nella casa che le aveva viste felici.
Che cosa l’ha spinta a recitare in «Freeheld»?
«È una vicenda bellissima, che mi ha molto commosso. Ho sentito subito, dal profondo, che volevo interpretarla. Parla della libertà di scelta che deve appartenere a tutti, e mostra che invece ci sono persone a cui questa autonomia viene negata e che, per questo, si trovano ad attraversare situazioni molto complicate».
Laurel, il suo personaggio, è una poliziotta, ed è lesbica. Quanto è stato difficile calarsi nei suoi panni?
«Direi che fra le due cose, la più difficile è stata interpretare una poliziotta... Quanto all’amore con Stacie, be’, non credo che faccia differenza rappresentare un legame etero oppure gay, l’attrazione tra le persone ha sempre qualcosa di misterioso, non importa se si è omosessuali oppure no, quello che conta è la speciale scintilla che scatta tra due esseri umani, un evento raro, a cui tutti tendiamo».
«Freeheld» descrive anche l’odissea di Laurel, dal primo apparire del male, fino alla fine, quando, benché provatissima, non rinuncia alla sua battaglia. Come si è preparata a questa prova?
«Mi sono molto documentata, ho parlato con persone che hanno attraversato il tunnel del tumore e con i parenti che le hanno seguite, e poi, in particolare su Laurel, avevo fatto tante ricerche prima di iniziare le riprese».
Stavolta è una poliziotta, ma è vero che se non avesse fatto l’attrice avrebbe voluto essere medico?
«Sì, verissimo, mi piace molto l’idea di aiutare le persone in difficoltà, di poter alleviare la sofferenza con le medicine, di assistere chi ne ha bisogno».
Si fatica a crederlo, ma lei ha raccontato di aver avuto un’adolescenza difficile per il suo aspetto, le lentiggini, i capelli rossi. Non si sentiva bella. È così?
«È così, mostrarmi non mi piaceva per niente, però oggi credo che ognuno abbia cose di sé che non ama o che pensa non vadano bene».
Dopo i tanti successi e l’Oscar è cambiato qualcosa nel suo modo di scegliere i personaggi?
«No, mi interessano sempre le scommesse difficili, scelgo in base alle sceneggiature e soprattutto alla possibilità di esplorare territori nuovi, di entrare in contatto con qualcosa che non conosco».
Attrice impegnatissima e madre di famiglia, è faticoso tenere tutto insieme?
«No, ci si può riuscire, io ci provo ogni giorno, e poi avere un compagno e dei figli è una gioia talmente grande, un’esperienza così fondamentale, che forse ti spinge e ti aiuta a fare bene tutte e due le cose».
Le è capitato di dover rinunciare a un lavoro per motivi familiari?
«Sì, è successo, ed è normale che accada. Ho sempre cercato di organizzarmi in modo da non stare troppo lontana dai miei, e di esserci quando era necessario. Adesso, per esempio, mio figlio sta per andare all’università e sono contenta di non avere progetti che mi obblighino ad allontanarmi».