La Stampa, 31 ottobre 2015
Vienna, dall’accordo sulla Siria un primo passo verso la pace
Siamo ancora molto lontani dalla pace in Siria. Ma forse è stato fatto il primo passo. Ieri, a Vienna, si sono registrate tre novità: la partecipazione dell’Iran; da parte americana l’accantonamento, per ora, della pregiudiziale della rimozione di Assad; i concilianti segnali di fumo fra Mosca e Washington.
L’intervento militare russo pro Damasco comporta il rischio di scontri con i ribelli sostenuti dagli americani, se non addirittura d’incidenti diretti con gli aerei della nostra coalizione anti-Isis. Ci si è affannati a scongiurarlo sul piano militare.
Su quello politico, gli Usa s’interrogano, e non da soli, sugli obiettivi ultimi di Putin in Siria.
Mosca gioca a carte coperte, ma dovrebbe sapere che la restaurazione del potere alauita di Assad sull’intero Paese è una scommessa troppo azzardata.
La Russia conosce l’amaro costo delle avventure militari. Se Putin è pronto a fermarsi al salvataggio degli alauiti nell’ambito di una soluzione inclusiva dell’opposizione non Isis, la cooperazione con Washington è possibile. Che poi, di fatto se non di diritto, la Siria non possa più sopravvivere come Stato unitario è un discorso che sarà affrontato a valle. A questo servono le conferenze di pace, quando vi si arriverà.
A Vienna, i siriani non erano neppure presenti, né regime né ribelli presentabili. Erano presenti però tutti i Paesi con influenza e capacità di pressione sulle forze in campo, in particolare Russia, Stati Uniti, Iran, Arabia Saudita e Turchia. Finalmente si sono seduti allo stesso tavolo, come l’Inviato Speciale dell’Onu, Staffan de Mistura, invocava da mesi. Gli altri comprimari, arabi e europei, sono tutti diretti interessati (basti pensare all’effetto rifugiati sull’Europa). Per l’Italia, la presenza del ministro Gentiloni a Vienna, al pari del ministro tedesco, britannico e francese, è un importante successo diplomatico. Occorrerà ora essere propositivi e pronti ad impegnarsi, anche sul campo, non farne una presenza fine a se stessa.
Era indispensabile che l’Iran fosse presente a Vienna. Nell’ottica americana è un beneficio collaterale dell’accordo nucleare. Resta però fortissima la riluttanza saudita, condivisa da altri Paesi arabi, all’inclusione di Teheran. Non stupisce: i due fronti, iraniano e arabo, hanno incancrenito la crisi siriana facendone una guerra per procura. Che a Vienna sauditi e iraniani si siano seduti allo stesso tavolo è un mezzo miracolo, ma non pone fine alla profonda rivalità.
Fino a quando è accettabile che Assad rimanga al potere a Damasco? Gli americani che due anni fa, dopo l’uso di armi chimiche, stavano per bombardarne le forze hanno già fatto una traversata del deserto non chiedendo più che se ne vada subito. Gli europei erano sulle stesse posizioni – Italia compresa. Molte nostre voci parlamentari che, oggi, sostengono che Assad può essere parte di una soluzione politica, sono le stesse che nel 2012 imposero al governo l’inusitata procedura di richiesta di ritiro dell’onorificenza concessa al Presidente siriano in una visita di Stato (che Damasco restituì subito sdegnosamente).
Su Assad c’è da attendersi intransigenza da parte araba e, soprattutto, dalla Turchia. In campo occidentale, Ankara rischia di essere abbastanza isolata. Rinunciare alla rimozione di Assad come condizione per negoziare con Damasco è un boccone difficile da inghiottire per Erdogan (che all’inizio della crisi siriana aveva tentato di mediare fra Damasco e ribelli – ed aveva fallito).
La chiave di volta di questo primo passo verso un negoziato sulla Siria è stata russo-americana. John Kerry, con l’incoraggiamento del Presidente Obama, non ha desistito dal perseguirla anche dopo i bombardamenti russi. Putin può indubbiamente vantare un notevole successo strategico. L’intervento militare russo ha cambiato le carte in tavola. Mosca ne può trarre i benefici – purché non cerchi di stravincere. Con le operazioni anti-Isis, gli americani non restano però indietro. Per l’Europa la lezione è anche che in situazioni quali quella siriana lo strumento militare è indispensabile e continua, purtroppo, a fare la differenza. Da sola la diplomazia non basta.