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 2015  ottobre 31 Sabato calendario

«Quando scrivo mi sento invulnerabile. Non smetterò mai». Intervista a Mario Vargas Llosa

Questo è Mario Vargas Llosa a tutto campo, il grande narratore e l’uomo. A marzo compirà 80 anni; la sua vita personale ha subìto una trasformazione radicale, compresa una nuova relazione sentimentale di cui si è parlato più di quanto non si sarebbe immaginato, e ora la sua casa editrice, Alfaguara, annuncia che quando il Nobel peruviano compirà gli anni uscirà in tutto il mondo di lingua spagnola il suo ultimo libro, il romanzo “Cinco esquinas”. Questa intervista verte sui grandi temi della sua scrittura e della sua vita personale.
Da dove viene la sua capacità di ricordare tante cose?
«Come tutti, vivo esperienze di ogni genere, ma alcune l’immaginazione le salva, le preserva, e improvvisamente, da queste immagini, comincia a emergere una sorta di fantasia, senza che io me ne accorga. Finché, all’improvviso, mi rendo conto di aver inconsciamente lavorato a qualche piccola storia, a un embrione di storia, a partire da qualche fatto vissuto, sentito o letto. Ho sempre trovato molto misterioso questo inizio di tutte le cose che ho scritto. Anche se poi inizi a lavorare con grande libertà, credo che il punto di partenza non sia libero, è qualcosa che la realtà impone attraverso l’esperienza vissuta».
Questo vale anche per “Cinco esquinas”?
«Tutto cominciò con un’immagine piuttosto erotica di due amiche che improvvisamente, una notte, in modo inaspettato per entrambe, vivono una situazione erotica. Siccome era un’immagine che mi perseguitava, cominciai a scriverla. Poi ha cominciato a diventare quasi un thriller, e il thriller si è trasformato in un affresco della società peruviana negli ultimi mesi o settimane della dittatura di Fujimori e Montesinos. Ma il tema che permea Cinco esquinas è il giornalismo, il giornalismo scandalistico. La dittatura di Fujimori utilizzò la stampa scandalistica come un’arma politica per screditare tutti i suoi nemici. Questo è uno dei temi centrali della storia. Allo stesso tempo, c’è anche l’altro aspetto, di come il giornalismo, da cosa vile e sporca, può diventare strumento di liberazione».
Lei ora subisce gli attacchi del giornalismo scandalistico.
«Sapevo che con questa nuova relazione (con Isabel Preysler, ex moglie di Julio Iglesias, ndr) ci sarebbe stata una certa ripercussione di tipo giornalistico, ma non mi sarei mai aspettato che scoppiasse una tale speculazione. Ho conosciuto il lato migliore del giornalismo, ora mi è capitato di vivere il peggiore e avere la conferma del fatto che il giornalismo come spettacolo non solo è presente nel giornalismo specializzato in scandali, ma anche nel giornalismo più serio. E senza rendermene conto, questo ha impregnato molto la storia che ho scritto. Non avrei mai pensato che fosse una storia su questa deriva del giornalismo moderno».
Si è sentito ferito?
«No, ma sono rimasto sorpreso e turbato da questa violazione della privacy. Da quella curiosità morbosa che la vita privata delle persone risveglia in tutte le persone, dalle più colte alle più ignoranti».
I libri, la scrittura, servono a recuperare la serenità?
«La scrittura è un rifugio straordinario per trovare la pace. Mentre scrivo, mi sento invulnerabile. Ma non vorrei darti una falsa idea e dire che questo è stato un periodo disastroso per me. Da una parte è stato molto complicato, ma per il resto è un periodo meraviglioso, vorrei che fosse ben chiaro. Non ho mai avuto l’e- saltazione, l’entusiasmo, i sogni che ho oggi a un’età in cui generalmente non ci sono più molti entusiasmi».
E non ha smesso di lavorare.
«Né voglio smettere. Recentemente, a New York, ho visto la magnifica mostra su Hemingway. Da un lato c’è il volto pubblico di questo personaggio. E poi ci si rende conto che dietro c’era un uomo lacerato. È arrivato un momento in cui la letteratura non gli è stata più utile. Spero che nel mio caso non giunga mai. Bisogna accettare la morte, ma è importante arrivare vivi fino alla fine e non morire vivendo. Ricordo la mattina in cui mi dissero che mi era stato assegnato il premio Nobel per la letteratura, pensai subito: “Non lascerò che questo premio mi trasformi in una statua, rimarrò vivo fino alla fine”. E spero che la morte arrivi come una specie di incidente».
Con il passare del tempo i suoi libri sono diventati più luminosi e più avventurosi.
«Forse ora posso vivere più avventure con l’immaginazione, con la fantasia, che nella realtà. Ho alcuni limiti imposti dall’età, ma la verità è che, nonostante questo, cerco anche di non rimanere fermo né intellettualmente né fisicamente, è importante muoversi, mi muovo sempre e continuerò a farlo finché posso. Ho cercato nell’avventura di altri la mia. Molti dei personaggi storici che compaiono nei miei romanzi sono quelli che io avrei voluto incarnare, anche personaggi cattivi che rappresentano il vivere oltre i limiti. È un genere di personaggio che mi ha sempre affascinato. Ma la grande avventura della mia vita è stata la letteratura, non solo quello che ho scritto, ma anche quello che ho letto».
Ne “Il pesce nell’acqua” si avverte una malinconia nella scrittura nel momento in cui tenta di andare in Perù...
«È un libro che testimonia un fallimento. Ci fu un’opportunità, la mobilitazione di tanta gente in un grande sforzo per modernizzare il Paese, e fallimmo. Oggi, in Perù, si vive molto meglio che nel periodo della dittatura, come nella maggior parte dei paesi dell’America Latina. Senza illudersi rispetto agli enormi problemi, è preferibile avere dei governi democratici, per quanto corrotti, che le dittature, sempre corrotte ma in più brutali e sanguinarie. È preferibile rinunciare all’utopia sociale se ha solo portato guerre civili, repressioni brutali e governi dittatoriali. E abbiamo anche la letteratura, che è il modo migliore per mantenere viva la speranza, il pensiero critico. La letteratura ci salva».
In molti dei suoi testi si avverte un atteggiamento piuttosto flaubertiano, riferito a quella che secondo lei è la sua mancanza di talento.
«A Flaubert devo l’aver dimostrato che se non hai un talento naturale, se non nasci genio, puoi diventare un bravo scrittore a forza di perseveranza, tenacia e fatica. Era un grande pessimista, terribilmente scettico, ma ci ha dimostrato che la genialità si può costruire se non ce l’hai. Una lezione fondamentale per me».
Crede che non si esca indenni da un grande romanzo? È una frase non so se sua o di Hemingway.
«Non so se è mia, non mi dispiacerebbe, è la pura verità. Leggere Don Chisciotte, I miserabili, Guerra e pace, Madame Bovary ti trasforma. Anche certi saggi, come La letteratura e il male di Bataille, che rivela un aspetto della letteratura di cui sono convinto: che nella letteratura si esprime qualcosa che si può esprimere solo nella letteratura».
Crede di avere ormai fatto ciò che doveva fare?
«Ancora no, e spero di continuare a farlo, spero che il mio miglior libro sia il prossimo che scriverò, che sia una sfida e che la morte mi colga mentre sto scrivendo il mio libro migliore. Questo è il mio grande sogno».