la Repubblica, 31 ottobre 2015
Quella zozzona dell’upupa
L’upupa è un uccello bucerotiforme cantato con attenzione da Eugenio Montale e con lui ritratto in una delle sue foto più celebri. Naso contro becco, di profilo, in bianco e nero. Uccello ilare e calunniato in quanto notturno e dunque portatore di sfiga (immonda addirittura, per Foscolo che la fa uscire da un teschio e svolazzare per le croci) l’upupa di Montale sta su un pollaio e si volta qua e là, con un galletto di ferro, mostrando la sua buffa cresta. Ma soprattutto ignora perché. Perché il tempo e le stagioni si avvicendino, perché, grazie a lei o insieme a lei arrivi la primavera.
Uccello nazionale dello stato di Israele, l’upupa deve il suo buffo nome al verso del maschio in amore. Il quale si propone alla femmina con insistenza, rafforzando la richiesta con offerte di cibo. Né smette quando lei, stremata, cede. Con quel martellante «hup, hup, hup» delimita anche il terreno dal quale estromettere gli altri maschi. Monogama per una stagione e poi liberi tutti, l’upupa durante la cova secerne dalla ghiandola dell’uropigio un liquido nero che puzza di carne andata a male. Allo stesso scopo, per tenere lontani i nemici, gli upupini appena nati possono chinarsi e spruzzare le feci verso l’esterno, con un getto di anche mezzo metro.
L’upupa, questa zozzona.