La Pedrollo è un’anomala multinazionale tascabile, esporta in tutto il mondo, in 160 Paesi, ma produce solo in Italia. Le pompe idrauliche sono beni strumentali, “prodotti civetta” in qualche modo: se la domanda aumenta vuol dire che l’economia è in movimento o si sta rimettendo in moto. Questo sta succedendo. E questa è anche la metamorfosi di una parte del nostro capitalismo, ancora famigliare ma globalizzato. Che non è più solo moda, arredamento, alimentare. È un altro Made in Italy, meno glamour, ma ben strutturato; poco lamentoso (con le banche, lo Stato e i sindacati) ma assai competitivo. E fortemente internazionalizzato. Abbiamo perso (o quasi) i grandi gruppi pubblici e privati, il modello dei distretti degli anni Ottanta è entrato in crisi, ora è il “quarto capitalismo” che genera la ripresa. Mauro Magatti, sociologo della globalizzazione alla Cattolica di Milano, sostiene che esiste «un’avanguardia imprenditoriale italiana» che si è adattata al mutamento epocale. «Resilienza delle imprese migliori», l’ha chiamata nella sua recente ricerca “La nuova borghesia produttiva” in cui denuncia la mancanza, però, di autoconsapevolezza di sé di questo gruppo sociale. La Pedrollo probabilmente ne fa parte, come molte in quest’area che sta tornando a livelli fisiologici di disoccupazione.
Giulio Pedrollo, l’ad dell’azienda di famiglia è anche il presidente della Confindustria di Verona, 43 anni, ingegnere meccanico. Racconta che nel 2009, l’anno orribile della crisi, il fatturato crollò di quasi il 20%. Nel 2014 ha registrato un più 63 per cento rispetto agli anni precedenti la crisi, quest’anno chiuderà con un incremento del 70%. Il gruppo (sono sei aziende) fattura circa 210 milioni di euro. «Non abbiamo mai distribuito un euro di utile. Abbiamo sempre reinvestito nell’impresa». Sono 650 i dipendenti, 459 solo nell’azienda madre. Età media circa 36 anni. Mai un’ora di Cig. Le ultime trenta assunzioni sono state fatte con il contratto a tutele crescenti e con lo sgravio contributivo ( 24 mila euro in un triennio) previsto dalla precedente legge di Stabilità. Il 15% circa del fatturato va in investimenti in nuove tecnologie. Trecento i brevetti depositati. C’è una scuola interna per manager. I designer si occupano della parte estetica delle pompe idrauliche (ogni anno ne escono più di due milioni). Ci sono quasi 150 robot nella fabbrica, prodotti per lo più da una controllata. Hanno sostituito, ma non cancellato, il lavoro umano, ridotto i costi, aumentato la produttività. Due terzi dei dipendenti lavora ancora in linea. C’è unicamente la Cisl tra i sindacati per un sistema di relazioni industriali light. Qui a San Bonifacio si vedono i germogli della Fabbrica 4.0, della “fabbrica intelligente”, robotizzata. Con l’uomo sempre più al controllo del processo produttivo e sempre meno alla produzione. Tutti i test sui prodotti si fanno su Internet. Così si è vinta (per ora) la guerra totale con il nemico cinese che sfrutta in tutti i sensi ancora il lavoro umano. Perché le pompe Pedrollo sono tra i prodotti italiani più contraffatti. Qui stimano una perdita di fatturato per questo di quasi 50 milioni l’anno. Sulla sua scrivania Pedrollo ha le foto delle ultime scoperte: marchi identici ma qualità scadente anche a prima vista. Periodicamente vengono cambiate pure le confezioni di cartone delle pompe per impedire che i contraffattori asiatici possano tenere il passo. Sul portale cinese per il commercio on line Alibaba si vendevano addirittura le “copy of Pedrollo”. Sono state rimosse.
L’80% dei fornitori della Pedrollo è italiano, vicentino o veronese. Tutti costretti ad alzare la qualità, la flessibilità e la produttività per continuare a rifornirla. Esattamente quel che è già accaduto nel settore dell’automotive: l’indotto un tempo esclusivamente della Fiat si è adeguato (quando il Lingotto è arrivato a un passo dal fallimento), ha accresciuto la qualità per poter avere più acquirenti, dalla Volkswagen alla Porsche. Ed è questa la nuova, silenziosa, via italiana all’imprenditoria.