Corriere della Sera, 31 ottobre 2015
Telecom, l’assalto francese continua: Niel sale al 15%. La Francia già grida alla conquista, ma Renzi non vuole rimanere al palo
Il magnate francese Xavier Niel è teoricamente al 15,14% di Telecom Italia. Lo ha rivelato ieri la Consob che ha reso noto un’ulteriore partecipazione del 3,9% di Niel dopo la quota dell’11,2% comunicata appena due giorni fa. L’imprenditore – grande esperto di telecomunicazioni per aver lanciato l’operatore mobile low cost Free – ha effettuato acquisti tramite la holding Rock Investment. Il titolo Telecom Italia ieri ha chiuso la seduta in rialzo dello 0,55% a 1,26 euro per azione con scambi per oltre 317 milioni di pezzi.
Si tratta di una partecipazione potenziale. Detenuta per il 10% tramite sei differenti contratti di opzione «a chiamata». E per il restante 5,1% attraverso la stipula di contratti derivati. Nella ridda di voci persino l’ipotesi che possa salire al 20%. Vero o meno Niel a conti fatti si piazzerebbe al secondo posto nel composito azionariato dell’ex monopolista, subito dietro il colosso francese Vivendi che detiene il 20,3%. Nel capitale è presente anche la Banca centrale cinese con il 2% e Telefonica, con una quota potenziale del 6%.
Il modello «public company» tanto decantato si scontra ora con l’inatteso fronte francese (considerando anche il gruppo presieduto da Vincent Bolloré) che potrebbe essere in possesso di oltre il 35% di Telecom Italia, ben al di sopra della soglia per la quale scatta l’obbligo di Opa.
La notizia è stata accolta in maniera opposta da Parigi e Roma. Il ministro francese dell’Economia, Emmanuel Macron, si è rallegrato per «lo spirito di conquista e il dinamismo degli imprenditori francesi». Il governo italiano invece ha, per bocca del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, sottolineato come «l’interesse del Paese è che qualsiasi cambiamento nella composizione dell’azionariato risponda a criteri di rafforzamento industriale di una società strategica».
La sensazione è che l’arma di ultima istanza – la «golden power» che fa rientrare la rete di Telecom Italia tra gli asset strategici del Paese – rischia di essere spuntata davanti ad un operatore comunitario (Bruxelles si opporrebbe). Ecco perché Asati, l’associazione che riunisce i piccoli soci di Telecom, chiama in causa Cassa Depositi con «un aumento di capitale per acquisire almeno il 10% della società». Si vedrà. Chi non sta a guardare è l’Antitrust, che ieri ha chiesto chiarimenti a Telecom, per verificare l’eventuale esistenza di patti parasociali, e a Niel.
La tensione a Palazzo Chigi per l’affaire «Telecom France» ieri si tagliava con il coltello. La verità è che nessuno sapeva di Xavier Niel. E, peggio, nessuno sa bene cosa accadrà ora: Niel è un cavallo di Troia che contiene le mire espansionistiche di Orange? I dubbi, a questo punto, sono tutti leciti, anche se non è detto che siano tutti realistici. Gli incontri sono stati non uno ma due, il primo al mattino e il secondo più tardi, nel pomeriggio, poco prima che si decidesse di rilasciare una posizione ufficiale, a mercati chiusi, affidata al sottosegretario Claudio De Vincenti: «Il governo segue attentamente l’evoluzione della vicenda Telecom, un’azienda strategica per lo sviluppo del sistema di telecomunicazioni». Qualsiasi cambiamento nell’azionariato», ha poi aggiunto, deve «rispondere a criteri di rafforzamento industriale».
Il senso è chiaro: il governo italiano ha acceso il faro su Telecom Italia, anche perché all’interno dell’ex monopolista si sta giocando la partita ad alto valore politico della rete di nuova generazione. Il premier Matteo Renzi ha voluto vedere, oltre che De Vincenti, anche il sottosegretario con delega alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, e il presidente della Cdp, Claudio Costamagna. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, si è collegato al telefono da Torino dove si era recato per l’incontro dell’Anci. Peraltro anche Fabio Gallia, amministratore delegato della Cdp e grande conoscitore dell’ambiente istituzionale e finanziario francese, era a Torino per lo stesso motivo e ha potuto parlare con Padoan.
Il tema, inutile dirlo, è delicato: Telecom è strategica per la rete e se dovesse finire, come sembra, in mezzo a una guerra tra azionisti sarebbe come riavvolgere il nastro di alcuni anni, con tutte le conseguenze sullo sviluppo facili da immaginare. Peraltro proprio in queste settimane si è tornati a parlare di un ingresso della Cdp in Telecom per dare una scossa alla banda ultralarga, ma uno scontro tra Tesoro, Niel e Vincent Bolloré, sarebbe lo scenario peggiore. D’altra parte la golden power paventata da qualcuno è, in questo caso, un’arma spuntata visto che non si tratta di soggetti extraeuropei (il ministro dell’economia francese, Emmanuel Macron, ha avuto gioco facile a dire che non vedeva problemi). Insomma, l’uscita del governo ha probabilmente un significato «politico».
Renzi – che già giovedì alla notizia dell’ingresso di Niel si era mostrato preoccupato dello scenario con il suo staff – non vuole rimanere al palo e ha preferito far sentire la voce del governo, anche se un po’ tardivamente dal punto di vista finanziario: ieri Niel è salito al 15% del gruppo telefonico, seppure in parte con delle opzioni. Bolloré con Vivendi è già poco sopra il 20% del capitale ma ora con «monsieur Minitel» alle spalle non è detto che si senta più tanto al sicuro. Il resto del gruppo è sul mercato, ma se il piano della Cdp prevedeva una presenza attiva nel capitale, l’operazione per salvare la banda ultralarga italiana potrebbe cominciare a costare molto più del previsto. Gli obiettivi che dobbiamo raggiungere come Paese entro il 2020 sono ben noti: il 50% della popolazione almeno a 30 megabit al secondo e il restante 50% a 100. Oggi, dati Agcom, gli accessi broadband sono 14,6 milioni in tutta la penisola ma di questi solo 3,6 milioni sono superiori almeno ai 10 megabit.